giovedì 6 agosto 2009

CORSO UMBERTO I: NUOVI ORARI PER LA ZTL


Corso Umberto I: nuovi orari per la ZTL
Il comando di Polizia Municipale comunica che con ordinanza n. 74/09, ha provveduto alla modifica del periodo di chiusura al traffico veicolare in Corso Umberto I, per il periodo estivo, giorni feriali e festivi, dal 1 giugno al 15 settembre 2009, con i seguenti orari:
chiusura dalle ore 9,00 alle ore 14,00
chiusura dalle ore 17,00 alle ore 02,00
Per gli utenti muniti di autorizzazione (rilasciata dal Comando dei Vigili Urbani), il transito è previsto una sola volta nell'arco degli orari di divieto in entrata e/o in uscita nella Ztl per raggiungere i luoghi di sosta percorrendo il tratto di strada che va da Piazza Matteotti a Corso Umberto I e viceversa.
Per quanto riguarda, invece, il carico e scarico merci, il transito è consentito nelle seguenti fasce orarie:
dalle 6,00 alle 9,00 e dalle 15,00 alle 17,00

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Grazie a Tutti

Ringrazio tutti coloro che ci sono stati a fianco in questi giorni di dura competizione elettorale. Ringrazio lo Staff che mi è stato molto vicino e mi ha sorretto nei momenti più difficili. Ringrazio la compagine tutta che è stata esempio di umiltà e coesione. Ringrazio gli amici della compagine esclusi dal Consiglio Comunale perchè anche grazie a loro che potremo cambiare le cose a Vietri sul Mare. E naturalmente ringrazio i cittadini che ci hanno preferito riponendo in noi un estrema fiducia; Fiducia che sapremo ricompensare con i fatti

Grazie

Franco Benincasa

VINCENZO DE LUCA PRESIDENTE "UNA SPERANZA C'E' "

VINCENZO DE LUCA PRESIDENTE "UNA SPERANZA C'E' "
ELEZIONI REGIONALI 27-28 MARZO 2010

TUTTI CON DE LUCA A NAPOLI

TUTTI CON DE LUCA A NAPOLI
UNA SPERANZA C'E', PRENDIAMOCELA

PIERLUIGI BERSANI E' IL NUOVO SEGRETARIO NAZIONALE DEL PARTITO DEMOCRATICO

PIERLUIGI BERSANI E' IL NUOVO SEGRETARIO NAZIONALE DEL PARTITO DEMOCRATICO
CON IL 53%

ENZO AMENDOLA E' IL NUOVO SEGRETARIO REGIONALE DEL PARTITO DEMOCRATICO

PRIMARIE DEL 25 OTTOBRE DEL PD NEL COMUNE DI VIETRI

PRIMARIE DEL 25 OTTOBRE DEL PD NEL COMUNE DI VIETRI

VOTANTI 657
BIANCHE 6
NULLE 6
ASSEMBLEA NAZIONALE (scheda celeste)
CAMPANIA PER BERSANI 292
CON BERSANI VERSO IL FUTURO 113
DEMOCRATICI CON DARIO FRANCESCHINI 198
CON MARINO SEGRETARIO 26

VOTANTI 657
BIANCHE 11
NULLE 2
SOLO VOTO AMENDOLA 2
ASSEMBLEA REGIONALE (scheda rosa)
ESSERE DEMOCRATICI CON BERSANI E AMENDOLA 7
LISTA ITINERARIO DEMOCRATICO DAVVERO 18
RIFORMISTI CON BERSANI (Franco Benincasa) 405
PER LA CAMPANIA CON AMENDOLA 47
DEMOCRATICI CON DARIO FRANCESCHINI 146
CON MARINO SEGRETARIO 19

IL SITO INTERNET DEL COMITATO BERSANI DI VIETRI SUL MARE

IL FUTURO E' CON NOI

IL FUTURO E' CON NOI
ISCRIVITI AL PARTITO DEMOCRATICO

QUAL'E' SECONDO TE IL PARTITO PIU' <<AFFIDABILE>> DEL CENTROSINISTRA?

IL MIO SEGRETARIO DEL PARTITO DEMOCRATICO E':

LE MIE SIMPATIE PER...

BERSANI: PER L'ITALIA

venerdì 10 luglio 2009

BERSANI: PER L'ITALIA

1 luglio 2009
Idee per l'Italia e per il PD.
Bersani incontra i giovani.
Testo integrale dell'intervento all'Ambra Jovinelli, in occasione della presentazione della candidatura a Segretario del PD.

Cari amici e compagni, la prima parola la voglio dire per testimoniare il cordoglio nostro per le vittime dell’assurda strage di Viareggio e per dare solidarietà alle famiglie dei morti e dei feriti. Vorrei che ci raccogliessimo in un minuto di silenzio.Subito qualche scusa e ringraziamento. Mi scuso, intanto, con le centinaia di persone che sono fuori da qui e mando loro un saluto. Mi dispiace, non pensavamo ad un’affluenza di questo genere. Un ringraziamento fatemelo fare – anche se non tutti ce ne siamo accorti in questo momento particolare – allo staff di Vasco Rossi che ha voluto regalarci un minuto di una rielaborazione di una bellissima sua canzone. Questo mi ha fatto molto piacere. E ringrazio voi, naturalmente, tutti voi, per aver raccolto il mio invito che, come sapete, è rivolto in particolare alla nuova generazione che è già in campo. Così farò in altri appuntamenti, in altre iniziative al nord ed al sud del Paese.Non c’è bisogno di inventarsi una nuova generazione, neanche c’è bisogno di raffigurarla per simboli! Bisogna aprirle la strada. In primo luogo, aprirle la strada facendo in modo – e cominciamo qui – che possa direttamente prendere in mano, in ogni luogo del Paese, la discussione politica che avremo. E, in secondo luogo, facendo in modo che questa generazione possa misurarsi ad ogni livello nelle funzioni esecutive del partito. È quello che mi impegno a fare, a cominciare dal livello nazionale. È giusto che chi si predispone a sostenermi sappia bene come la penso a questo proposito.Io ho in mente un partito nel quale c’è rispetto, rispetto per la generazione precedente; e un partito nel quale la generazione che viene prima, considera suo compito aprire subito la strada alla nuova generazione, sostenendola ed accompagnandola. Ho detto che avremo una discussione politica, finalmente una discussione politica! Una discussione sull’Italia e su noi, per renderci più utili alla riscossa del nostro Paese e agli interessi e ai valori che vogliamo rappresentare.In questi mesi ci si deve accorgere che vogliamo avvicinare il Partito Democratico all’Italia. Dobbiamo guardare in faccia la realtà. In questi venti mesi abbiamo suscitato molte speranze, e una parte di queste speranze è rimasta delusa.Molti elettori si sono allontanati da noi. Abbiamo vissuto in molti luoghi del Paese il venir meno della solidarietà fra di noi. Fenomeni di ripiegamento, di divisione, perfino di anarchismo. Le elezioni hanno segnalato, in particolare, un indebolimento del nostro legame con ceti popolari e ceti produttivi, confermandoci che la destra, quando vince, vince nel popolo.E, tuttavia, di fronte a tutto questo non è mancato nelle nostre file la capacità di mobilitazione, di reazione. Nel pieno di una battaglia difficile abbiamo mostrato punti significativi di tenuta. Il nostro progetto non è stato mai messo in discussione. Franceschini lo ha detto e sono d’accordo con lui. Abbiamo le condizioni politiche per riaffermare il progetto e per rimetterlo in cammino.Ma ecco il punto di partenza, che mi indusse mesi fa ad annunciare la mia candidatura. Secondo me, ci sono forti correzioni da fare. Chiariamo subito un punto: non si dica che i nostri problemi sono venuti dal presunto tradimento di un’ispirazione originaria. I nostri problemi sono venuti dal non aver messo ancora il nostro progetto su basi culturali, politiche ed organizzative abbastanza solide. Questo è il nostro problema e questo è il problema che il Congresso deve risolvere. Un congresso, quindi, fondativo del nostro partito.Lo dico con franchezza: se non prenderemo in mano noi stessi, autonomamente e responsabilmente il nostro destino, se ci faremo prendere la mano da una discussione confusa e tutta mediatica, se ci attarderemo a discutere su categorie inafferrabili, su chi è democratico doc e chi no, sul nuovo e sul vecchio, sul vecchio e sul giovane, su chi deve star dentro e chi deve andare fuori, su chi ha la cravatta e chi no, io credo che gli italiani, giustamente, rivolgeranno lo sguardo altrove.E noi ci ritroveremo senza solidarietà, senza contenuti e, temo, anche senza partito. Io cercherò un’altra strada. Io farò un congresso contro nessuno, discutendo di politica e cercando, per quello che mi sarà possibile, di essere chiaro e concreto, di evitare la retorica. Forse ne abbiamo usata troppa in questi venti mesi e alla fine non ha scaldato il cuore. Gli italiani non l’amano.In una discussione vera, per me, non c’è bisogno di supporters. C’è bisogno della testa e della testa di tutti. Io ci metterò la mia testa, come ho sempre fatto. Io sono il candidato di nessuno, e sono il candidato che pensa che ci sia bisogno di tutti. Di tutti. Dirò l’essenziale di quel che penso sull’Italia, sui nostri compiti politici, sul partito, sapendo bene che, come capita in questi casi, non potrò essere breve. Dovrete avere un pò di pazienza. Neanche riuscirò ad essere esaustivo, e me ne scuso!Voglio partire con una premessa per me non di poco conto. Prima di parlare d’Italia e di parlare agli italiani, dovremmo avere un’idea un pò più chiara sulla nostra carta d’identità, sul nostro biglietto da visita. Noi abbiamo affermato e ancora sento affermare l’esigenza di un partito post-identitario. Io non ci credo, non ho mai capito cosa significasse.L’idea secondo la quale affidandoci a labili e forse ovvii riferimenti valoriali e ad un pò di eclettismo nella cultura politica, ce ne venissero larghezza di orizzonti, forza attrattiva, credo sia un’idea infondata, perché senza un’identità riconoscibile ogni gesto, anche il più provvisorio, il più tattico, mette un interrogativo su chi sei davvero.Senza un’identità riconoscibile ti privi di un messaggio di senso verso le generazioni nuove. Senza un’identità riconoscibile ti disarmi verso una destra che sparge ideologia, cioè un senso comune, un sistema di concetti che vengono prima della proposta politica o dell’azione di governo. Il “berlusconismo”, il “leghismo” li definiremmo forse post-identitari, post-ideologici? Eppure è con questi che noi abbiamo a che fare e, quindi, alla fine di questo congresso dovremmo aver detto qualcosa di più chiaro su di noi. Io parlo di un Partito Democratico che vuole interpretare ed estendere l’area del centrosinistra con il profilo di un partito popolare, un partito di una sinistra democratica e liberale che abita dove abitano le forze progressiste, socialiste, liberaldemocratiche del mondo, che partecipa all’alleanza tra socialisti e democratici in Europa. Parlo di un partito popolare, quindi non classista, non elitario, non populista, radicato in ogni luogo e capace di esperienze e di linguaggi che siano legati alla vita reale.Un partito che si rivolge ad un arco ampio di ceti, di categorie sociali, ma che non può vivere scollegato dai ceti popolari, dai ceti produttivi e dalle nuove generazioni. Un partito, dicevo, che interpreti l’area del centrosinistra col profilo di una sinistra democratica e liberale, cioè di un partito che si ispira ad un’idea di uguaglianza e la rende concreta sia attraverso un mercato aperto e regolato, che distribuisca equamente occasioni, sia attraverso politiche pubbliche, sociali e universalistiche di ridistribuzione, di welfare, di promozione dei beni collettivi.Per me, il Partito Democratico è un partito del lavoro, nella molteplicità dei suoi aspetti e dei suoi protagonisti, che rivendica la dignità e il ruolo sia del lavoro subordinato, sia di quello autonomo e imprenditoriale. Nel concreto, ne sostiene la prevalenza rispetto alle rendite e ad ogni privilegio. Il Partito Democratico, per me, è un partito laico, che non per questo banalizza o relativizza convinzioni o valori, crede anzi nella forza positiva delle convinzioni filosofiche e religiose. E, tuttavia, le distingue dalla responsabilità autonoma della politica, che ha il compito di promuovere decisioni pubbliche, tenendo conto della coscienza di tutti. Così come è stato insegnato dalle radici profonde della cultura cattolico-democratica.Il Partito Democratico riconosce nella sfera dei diritti civili un fattore fondamentale di avanzamento umano, attraverso l’affidamento progressivo alla libertà e alla responsabilità dell’individuo di questioni che prima erano ricondotte ad una dimensione di etica pubblica. Ho fatto altrove questo esempio: fino a pochi anni fa lo stupro era un reato contro la morale; chi lo definirebbe così adesso? Adesso è un reato contro il diritto all’intangibilità della persona! Il PD riconosce l’esigenza di regolare i possibili usi distorsivi della tecnica, il rischio della sovranità della tecnica, in particolare per quel che riguarda la possibile manipolazione dell’uomo.Quando la politica è chiamata ad avvicinarsi ai temi cruciali della persona e della condizione umana il Partito Democratico fa riferimento ad un umanesimo forte, di natura cristiana e laica, che vive nelle radici profonde della nostra cultura politica e che non consente che, come debba, morire io lo decida il senatore Gasparri o il senatore Quagliariello,che non consente che lo Stato invada i mondi vitali della persona e della famiglia. Il Partito Democratico è il partito del nuovo civismo, non perché pretenda di essere un’autorità morale, ma perché vuole promuovere una società organizzata su diritti e su doveri e su quella regolazione implicita della società, che prenda forza da comportamenti ispirati al civismo. E questo a partire dalla sobrietà della politica, come primo punto di questa riscossa civica.Infine, il Partito Democratico è il partito del nuovo secolo, un partito contemporaneo, fortemente orientato alla modernità. Vuole misurarsi sui nuovi problemi, promuovere in ogni campo le prospettive delle nuove generazioni. Ma tutto questo, secondo me, diventa più agevole traendo forte senso da antiche radici che, oltrepassano largamente le vicende degli ultimi decenni, i DS, la Margherita, il PC, la DC, il “compromesso storico”.Mettiamo tutto questo in un percorso più ampio, più lungo. La nostra narrazione deve prendere a riferimento questioni più essenziali, radici più essenziali. Radici di emancipazione, di riscatto, di auto-organizzazione, di solidarietà, di autonomia, che furono la premessa vivente delle grandi formazioni politiche e popolari all’affacciarsi del secolo scorso.Allora si formò l’idea che, prendendo le parti ed il punto di vista di chi lavora e produce, di chi è più debole e subordinato, si potesse costruire una società migliore per tutti. E davanti alle condizioni nuove del nuovo secolo, questa resta la nostra profonda ispirazione, la nostra carta d’identità e, al tempo stesso, questo resta il nostro fondamentale problema nei tempi nuovi, nei tempi che si affacciano: darci un nuovo radicamento nei grandi ceti popolari. All’uscita dal Congresso dovremo avere le idee più chiare su tutto questo, per poterci rivolgere con un profilo netto all’Italia. Se vogliamo parlare dell’Italia noi dobbiamo farlo nel cuore di questa crisi; non ne usciremo come ci siamo entrati, né per l’economia, né per la politica.La gestione della destra è fatta di minimizzazione, di cabotaggio.Ci prepara stagnazione economica, ci prepara crisi della finanza pubblica. Ci prepara una stagione ulteriore di condoni e quindi la previsione di ulteriori aumenti della pressione fiscale. Ci prepara l’abbandono sostanziale delle situazioni sociali più deboli.Noi chiediamo anche da qui e con forza al Governo di assumere una maggiore responsabilità, di non edulcorare i dati della crisi.Chiediamo al Governo di smetterla con le piccole pillole comunicative, chiediamo una gestione più aggressiva, una vera manovra anti-crisi che metta soldi veri e nuovi dove vanni messi: nei redditi di chi, a qualsiasi titolo, perde il posto di lavoro; nella liquidità delle piccole imprese ed in investimenti immediati che solo gli Enti Locali sono in condizione di fare.Stimoli all’economia reale, preservazione delle nostre capacità produttive, impresa, lavoro; misure temporanee, ma effettive, consistenti! La crisi non è psicologica e non è alle nostre spalle. Purtroppo, gli effetti economici e sociali della crisi ce li abbiamo ancora davanti. E, soprattutto – ecco il punto di cui il Governo non vuole occuparsi – abbiamo davanti il rischio di una caduta di rango del nostro Paese, il rischio che vengono azzoppati, bloccati, contraddetti i processi di innovazione e di investimento e che ci troviamo all’uscita dalla crisi in una condizione più debole della nostra economia nel quadro internazionale.In ogni caso, noi dobbiamo affiancare i protagonisti della crisi. Nel viaggio che farò, in occasione del Congresso, ovunque sarà possibile, cercherò di avere un incontro con i lavoratori, con gli imprenditori che sono sottoposti ai processi di crisi.E invito tutti a fare altrettanto. Bisogna che il nostro partito ci sia. Poi si vede come fare ma, intanto, bisogna esserci, nei luoghi di questa crisi. Questa crisi scatenata dalla finanza ha origini in realtà, lo sappiamo, in politiche economiche squilibrate, fondamentalmente poggiate sull’idea che la ricchezza smisurata di pochi possa fare da locomotiva per tutti. E adesso, dagli Stati Uniti alla Cina, tutti sono costretti a cercare un nuovo equilibrio tra economia e società, mediato dalla politica; a cercare uno sviluppo più equilibrato dei loro mercati interni, a sviluppare un’attenzione più marcata di beni collettivi, a quelli ambientali, per esempio. E a tornare ai fatti fondamentali della produzione e del lavoro.E allora, se è così, i principi di equilibrio sociale e di eguaglianza possono pretendere, oggi, più di ieri, di essere portatori di una razionalità economica. Si può affermare l’idea che nessun cittadino, nessun ceto sociale, nessun paese può star bene da solo se anche gli altri non trovano la strada per stare un pò meglio.E, mi rendo conto, una prospettiva controversa, aperta ovunque – anche da noi – ad altri sbocchi di tipo protezionistico, difensivo, regressivo, ma pur tuttavia è un terreno nuovo, un banco di prova. Anche qui in Italia. Come in una crisi, che non sarà breve, suscitare un progetto, uno sbocco possibile, un orizzonte di cambiamento che impedisca una regressione strutturale del nostro sistema, sul piano socio-economico e anche sul piano culturale, ideale? Questo è un rischio che c’è, e che può portare a sbocchi politici che oggi non possiamo prevedere. Noi dobbiamo dunque uscire da questo congresso con un’idea positiva del nostro paese, un’idea che abbia concretezza. Non tocca ad un congresso fare un programma di governo, ma l’ispirazione essenziale di un programma sì, questo dobbiamo definirlo, in questo congresso.Io comincio da qui. Tutto quello che si può fare per l’Italia viene disperso se non si aggrediscono le due questioni che ci caratterizzano tra i paesi maturi e che imprigionano le nostre energie. Le due questioni sono: primo, la più cattiva distribuzione della ricchezza; secondo, la minore mobilità sociale.La ricchezza mal distribuita fra ceti e mal distribuita fra territori si accompagna da tempo ad un netto impoverimento, che dura da anni, dei ceti medi, dei ceti medio-bassi e bassi. Ad una riduzione sul pil dei redditi da lavoro, redditi spesso sempre più occasionali e precari. Fenomeni che sono ovunque nei paesi maturi, ma qui più accentuati. E su questi ceti indeboliti, su queste famiglie indebolite, si scaricano tutte le novità: la precarietà, il disordine di un’immigrazione che preme sul più basso decile di reddito, affolla quel decile di reddito, la non autosufficienza, che è in grado di mettere in ginocchio anche una famiglia a reddito medio, e tante altre cose ancora. Se non si coglie tutto questo, credo non si colga la sostanza, di cio che sta avvenendo nel paese e non si capisce neanche che cosa sia e cosa debba fare un partito popolare. Allo stesso tempo, i riflessi difensivi che scattano nelle fasi critiche aggravano i tradizionali assetti corporativi, relazionali, clientelari ai quali siamo da tanto tempo abituati nel nostro sistema. Blocchi che imprigionano enormi energie economiche e che imprigionano le prospettive delle nuove generazioni; sono blocchi che nella crisi si stringono ancora di più.Su questi due punti fondamentali ci vogliono riforme, riforme vere che noi dobbiamo avanzare con una proposta che si faccia capire. A proposito dei redditi: se noi, nel futuro, vogliamo aprire – come vogliamo, per i principi che ci caratterizzano – una nuova fase universalistica dei sistemi di welfare, dove in via di principio non c’è povero nè ricco, allora innanzitutto dobbiamo qualificare, rendere sostenibile l’universalismo che c’è già.Ad esempio qualificare e rendere sostenibile il sistema sanitario, imponendo le migliori pratica. Solo noi abbiamo la cultura di governo per fare davvero questa operazione, gli altri non ce l’hanno. E intanto che difendiamo l’universalismo che c’è, e che la qualifichiamo, dobbiamo introdurre nuovi universalismi, portare l’universalismo dove non c’è ancora. Il primo punto riguarda il dualismo del mercato del lavoro, che va assolutamente superato, aprendo, in particolare, dei processi univoci, ben definiti, di inserimento nel lavoro e di stabilità del lavoro.Voglio ricordare a me stesso e a voi che i giovani che, a qualsiasi titolo, fanno la prima esperienza di lavoro – questo ci risulta anche dalle ultime elezioni – sono quelli che più si allontanano da noi. È ora di dire a loro qualcosa che si capisca. Di proposte per il superamento di questo dualismo ce ne sono diverse sul tavolo, bisogna discutere, stringere e promuoverle. Bisogna occuparsi dei redditi di ultima istanza e bloccare processi di impoverimento estremo delle famiglie. Bisogna occuparsi di salario minimo, anche per vie contrattuali. Bisogna sollecitare davvero una contrattazione che distribuisca un pò meglio i guadagni di produttività. Bisogna favorire l’innalzamento flessibile e volontario dell’età pensionistica, ma al contempo aprire una riflessione più di fondo, perché quando il 54% delle nuove pensioni Inps 2007 è sotto i 750 euro e la tendenza è a peggiorare, vuol dire che nella prospettiva stiamo mandando un sacco di gente sotto la soglia di povertà.Questo non è accettabile e dobbiamo pensarci da subito e chiederci se davvero le “gambe” del sistema previdenziale, che abbiamo fin qui introdotto, non vadano arricchite, rafforzate, ristrutturate, aggiungendo anche uno zoccolo universalistico fondato sulla fiscalità generale a fronte di un calo significativo dei contributi.Così come non possiamo lasciare senza novità temi cruciali, come quelli della non autosufficienza e quelli delle famiglie numerose. Queste riforme possono reggersi, per una parte sostanziale, sul riequilibrio dei rapporti di convenienza interna e sulle risorse pubbliche già impegnate. Ma certamente non può essere rimosso, in un paese come il nostro, il tema della fedeltà fiscale, di una più equa distribuzione del carico fiscale, di una riformulazione della fiscalità d’impresa in modo più favorevole all’occupazione e soprattutto a meccanismi che inducano una fisiologia di emersione, di trasparenza, di tracciabilità nella formazione dei redditi e delle basi imponibili.E sul tema della mobilità sociale è importante premettere un concetto: la liberalizzazione è il contrario del liberismo. Liberalizzazione è dare regole al mercato, evitando il dominio dell’uno sull’altro; il liberismo è il mercato che si dà le regole da sé e anzi pretende anche di imporle alla società, alla sanità, al sociale e così via. Dobbiamo attaccare con nettezza assetti corporativi e relazionali per l’accesso alle attività economiche, alle professioni e alla ricerca. Dobbiamo farlo senza paura, prendendo il punto di vista della nuova generazione e mettendolo dentro come un motore della nostra politica.E così dobbiamo cambiare ottica, non possiamo parlare di casa solo a proposito di proprietà della casa, c’è bisogno di parlare anche di affitto, altrimenti nel paese non può esserci mobilità. E dobbiamo occuparci di più della progressione del lavoro delle donne, ampiamente discriminate, qualificare ed accorciare i percorsi di studio e cosi via. Voi lo sapete, propongo sempre di collegare il tema della mobilità sociale al tema della cittadinanza, della riscossa civica, di un nuovo civismo nel nostro paese. Responsabilità, merito, diritti e doveri, rispetto dei cittadini e in particolare del più debole, dell’escluso.Qui ci sono tantissimi temi. Noi non possiamo non occuparci senza incertezze del tema della sicurezza, non nella prospettiva sicuritaria-repressivo-regressiva della destra, ma nella forma rigorosa del diritto del cittadino alla sicurezza, a cominciare dal cittadino più debole, a cominciare dalla liberazione del cittadino e dell’impresa da tutte le mafie.Dobbiamo assumere la questione dei diritti civili, essere in prima linea nella tutela del consumatore e portare questo famoso merito dal cielo alla terra; il che vuol dire accettare meccanismi di valutazione esterna in ogni campo, altrimenti parliamo di merito assolutamente in astratto. E dobbiamo anche essere in prima linea nel pretendere l’efficacia delle sanzioni, a cominciare dalla giustizia civile.Sapete in questa crisi quanti artigiani si sentono dire dal cliente: guarda i soldi ti sono dovuti ma io non te li dò, rivolgiti pure all’avvocato o a chi vuoi, tanto ci vogliono dieci anni? Non è una cosa tollerabile! E cittadinanza vuol dire tante altre cose: promuovere la cittadinanza digitale, per esempio, con i nostri Enti Locali, una battaglia di frontiera bellissima. Vorrei mettere qui, sotto questo grande titolo civico l’esigenza di cui dobbiamo caricarci, di riportare al centro della discussione la dignità e la fatica della condizione femminile, oggi insultata dai devastanti stereotipi e berlusconismi. Dobbiamo pretendere rispetto, rispetto per questa condizione. E dobbiamo mettere sotto il titolo della cittadinanza, temi delicatissimi, come quello dell’immigrazione. Noi siamo perché l’immigrato regolare acquisisca i diritti e i doveri della cittadinanza e accompagniamo quel processo secondo principi di solidarietà, di umanità che deve prevalere comunque sopra ogni altra cosa. Ma non dimentichiamo mai che se c’è disordine e approssimazione nella regolazione dei flussi migratori quel disordine e quella approssimazione si scaricano sulla parte più debole della popolazione. Se ce ne dimentichiamo, non potremo lamentarci del diffondersi di idee regressive in chi può pensare, a ragione o torto, che si possa fare un mondo perfetto a spese sue. C’è un impatto da distribuire meglio, più equamente, tra chi fruisce più direttamente dell’immigrazione e chi può averne, a torto o ragione, paura. A cominciare dalla pressione sui servizi pubblici.E, infine e non per ultimo, metto sotto questo tema della riscossa civica – come dicevo - il tema della sobrietà della politica, a cominciare dalle muraglie cinesi fra interesse pubblico e privato. E a cominciare dai costi della politica. Qui non c’è bisogno di qualunquismo, di populismo e anti-politica. C’è bisogno di procedere a parametrarci con i costi medi di ogni funzione della politica dei principali Paesi europei. Una misura molto semplice, non qualunquista, che credo potrebbe avere una buona efficacia.Cari amici e compagni, dobbiamo essere un partito che dice le stesse cose al nord ed al sud. È diventato molto difficile, ma come direbbe Vasco siamo solo noi che possiamo farlo. Siamo solo noi.Il Nord, oltre che un luogo geografico, è una metafora dei ceti produttivi e più esposti alle dinamiche globali. Non c’è possibilità alcuna di rafforzare il nostro radicamento al nord senza correggere verso ceti popolari, ceti produttivi, lavoro, impresa l’asse generale delle nostre politiche. Non c’è alcuna possibilità fuori da questo. E questo, tuttavia, deve svolgersi in una reciprocità con la questione meridionale.Per esperienza posso dire una cosa: se fai delle riforme parli che si rivolgono alle esigenze di modernizzazione del Paese rispondi al nervosismo, all’insofferenza del Nord; ma metti anche in moto le dinamiche nelle aree meno sviluppate del Paese. E questo è ovvio, perchè là sono le energie potenziali. Allora, per esempio, se faccio liberalizzazioni, funzionano più al sud che al nord, se supero intermediazioni, come per esempio nelle incentivazioni della pubblica amministrazione, piaccio al nord, ma faccio un enorme piacere al sud.Cosi se mi occupo di sicurezza, di funzionamento della giustizia, allora una stagione di riforme di modernizzazione che liberi energie potenziali al sud e parli al nord del Paese è possibile, si può fare.E naturalmente, costruendo questa reciprocità, non può essere oscurata la parola “Mezzogiorno”, che oggi viene devastata, rimossa, male interpretata. Dobbiamo pronunciare questa parola con proposte nuove, che siano impugnate anche da una nuova generazione di protagonisti.Gli investimenti al sud vanno garantiti, non vanno rubati, rapinati e dispersi. Ma si possono fare in altro modo, come avevamo cercato di impostare: meccanismi automatici, non intermediati, per sostenere gli investimenti di impresa. Meccanismi premiali che premiano chi raggiunge certi standard di servizi, sto parlando di rifiuti, sto parlando di acqua, sto parlando di istruzione, sto parlando di anziani. Piani nazionali sui beni collettivi: energia, acqua, ambiente.Questa ricerca di reciprocità, in un partito che vuole essere un partito nazionale ma federale, la si gioca su un buon assetto del federalismo. Non vado al concreto, è un tema complesso di cui non voglio parlare qui. Qui sto alla politica. Dico che, essendo un partito nazionale, noi dobbiamo però operare una forte ripresa sul piano politico e culturale della grande tradizione autonomista che sta nelle nostre radici e di cui troppo spesso ci dimentichiamo.Un autonomismo che è il nostro e non è il loro! E non dobbiamo accettare lezioni da loro. Perché, alla fine, gli asili nido e le aree artigianali li abbiamo inventati noi, bisogna sempre ricordarselo! Non ce ne ricordiamo abbastanza. Non possiamo essere un partito delle autonomie dei territori, come ci diciamo spesso, se ci limitiamo a fare proposte normative. Dobbiamo far proposte normative, ma dobbiamo approfondire e rilanciare la nostra cultura autonomistica nel merito, nei contenuti e dobbiamo darci un’organizzazione di partito coerente con tutto questo. Ci vogliono tutte e tre queste cose.Credo molto all’energia che può venirci dalla crescita della soggettività politica dei nostri amministratori. Credo alle amministrazioni come leva fondamentale di selezione delle classi dirigenti e perché non manchi un saluto a tutti i nostri amministratori che sono sul fronte, voglio rivolgermi, per tutti loro, ai nostri amministratori aquilani che non lasceremo soli in un impegno terribilmente difficile e con un Governo che ha sbagliato dal primo giorno il rapporto con loro. Altro che il G8!Spero di avere possibilità di sviluppare in altre sedi, non posso farlo qui, qualche altro cardine di una politica riformista. Ci sono un paio di punti che non voglio banalizzare in tre righe, sui quali voglio organizzare due appuntamenti specifici: il primo riguarda il salto di rango di tutta la filiera della conoscenza, come fare del nostro partito la punta avanzata che garantisca un passaggio dell’Italia alla società della conoscenza. E non vado nel dettaglio, su questo faremo un’iniziativa specifica.Il secondo punto, che ugualmente non voglio banalizzare, è il grande tema delle politiche produttive e industriali nel loro collegamento con la conoscenza e nel loro collegamento col grande tema ambientale, che è la nuova grande frontiera di innovazione industriale, di qualificazione dei consumi e di miglioramento della qualità della vita.Quindi rimando i temi ai due appuntamenti che organizzeremo.Sulla piccola impresa però, parlando di innovazione, di politiche industriali, vorrei dire una parola. Noi dobbiamo veramente fare qualcosa di visibile, di concreto su un paio di punti. Uno è alleggerire l’impresa dal peso della rendita finanziaria e immobiliare, l’altro è cercare nuovi sistemi di relazione e una partecipazione più attiva, più vicina, dei lavoratori alla vita dell’impresa.E bisogna anche che noi superiamo davvero una barriera mentale che c’è tra noi e la piccola impresa. Bisogna che ci diciamo, molto semplicemente, che un imprenditore privato, cooperativo, artigiano, commerciante che sta nelle regole fa pienamente parte del nostro progetto, è un protagonista del nostro progetto! Mi ha veramente colpito, ( sono figlio di artigiani anch’io),un mese fa, la vicenda di quell’artigiano di Treviso, Walter Ongaro, che angosciato dalla crisi, probabilmente per la preoccupazione di dover licenziare delle persone con cui aveva lavorato per decenni, si è tolto la vita. Voglio inchinarmi a lui come a tutti i morti sul lavoro.Vorrei infine che fosse convocata dal nostro partito una grande conferenza sulla riforma della Pubblica Amministrazione, un tema su cui noi dobbiamo superare ritardi nella nostra cultura di governo.C’è un punto di cui dobbiamo essere consapevoli: noi abbiamo bisogno del buon nome della Pubblica Amministrazione per le nostre politiche che richiedono spesso l’intermediazione della Pubblica Amministrazione, l’urbanistica, la sanità universalistica e così via. Gli altri, per le loro politiche, hanno invece interesse al cattivo nome della Pubblica Amministrazione, per le loro politiche deregolative. E, quindi, loro non ci risolveranno il problema! Infatti, ogni loro riforma non va oltre ad un richiamo all’ordine e c’è sempre dentro un insulto, un insulto che noi rifiutiamo, rigettiamo.Riformare non è questo. Ma dobbiamo saperlo anche noi che cosa vuol dire riformare la Pubblica Amministrazione. Vuol dire fare quello che si fa normalmente dentro le politiche industriali e cioè avere meccanismi permanenti per adeguare la missione in ogni area dell’Amministrazione, avere strumenti che rendano praticabili le conversioni organizzative, per adeguare via via la Pubblica Amministrazione al mondo che cambia.E tocca a noi tutto questo, gli altri non lo faranno e scaricheranno sempre politicamente su di noi l’inefficienza o il cattivo nome della Pubblica Amministrazione.Naturalmente, avanzare una piattaforma significa aprire il dialogo con le organizzazioni sociali. Chi mi ha visto all’opera negli anni lo sa; io credo profondamente ai rapporti con i corpi intermedi e sono quasi un cultore, se così si può dire, della sussidiarietà, e sento di dover dire anche qui, ad esempio, che il mondo del lavoro in un passaggio così difficile ha bisogno che il sindacato ritrovi la strada della convergenza e dell’unità.Ma so anche qual è la responsabilità nostra, di un partito politico; una responsabilità che non abbiamo sempre esercitato in questi venti mesi, diciamocelo. Tocca alla politica pronunciare un’idea di società. Le organizzazioni sociali, i corpi intermedi vogliono fare il loro mestiere e gradiscono che tu faccia il tuo, discutendo con loro, certo, ma sapendo anche dove possono trovarti, in modo che ciascuno possa praticare la propria autonomia. Diamoci dunque il progetto, diamoci un’idea di società. Ci risulterà più facile anche allargare il confronto con tutte le forze sociali.E proprio qui, parlando di riforme, di contenuti, di innovazione, vorrei mettere – mi costa anche un pò per il carattere che ho – l’unica notazione personale di questo discorso. Vedo bene che da molte parti si cerca di mettere una patina di grigio sulla mia candidatura. Ora voglio dire semplicemente che, da quando cominciai, (molto giovane, girando a far politica per dei paesini di montagna) sono stato poi in tantissime responsabilità, e mi sono sempre preso la briga di cambiare. Non ho mai lasciato le cose come le ho trovate. Si può controllare.E non le ho mai lasciate come l’ho trovate per due semplici motivi, di cui uno addirittura banalissimo: ho sempre pensato che la terra gira tutti i giorni e tutti i giorni devi cambiar qualcosa. E il secondo motivo è che questo mondo qua, questa società così com’è non mi piace del tutto. E, quindi, questa famosa innovazione, innovazione, innovazione… vorrei capire: ne parliamo a chiacchiere! Allora io non vorrei partecipare. Se ne parliamo a fatti, al contrario, io credo di aver qualcosa da dire.Ma veniamo a cose più rilevanti che non i sassolini nelle scarpe: i nostri compiti politici; poi parlerò del partito e avremo concluso questa serata. Sui compiti politici, voglio dire prima di tutto che immagino le prospettive dell’Italia nello sviluppo di una politica estera di pace, di cooperazione, di corresponsabilità multilaterali, di rafforzamento e di riforma delle istituzioni internazionali, di una vera integrazione europea, di una forte soggettività dell’Europa, nella costruzione di istituti e regole della globalizzazione, di un suo protagonismo nella politica internazionale a cominciare dalle aree che sono a noi più vicine – i Balcani, il Medio Oriente, l’Iran insanguinato e preda di un nazionalismo aggressivo che vuole imporsi col pugno di ferro. Una politica estera secondo l’asse fondamentale di quella che è stata la politica estera dei governi di centrosinistra, che è riuscita a ridare ruolo, funzione, dignità alla nostra presenza nel mondo. Funzione e dignità che oggi sono dispersi in una politica estera da rotocalco e su questo; (siccome so che sono in sala dei rappresentanti del PD degli italiani all’estero, mandiamogli un applauso di incoraggiamento!)Il ciclo politico mondiale è segnato ancora dall’evoluzione della crisi, dalle nuove dinamiche, della globalizzazione. In tutti questi anni la destra si è mostrata spesso capace di cogliere i frutti politici di queste dinamiche; di coglierne i frutti politici, sia dal lato della deregolazione, del liberilismo, sia dal lato delle paure che la de regolazione suscitava. Quindi la destra è riuscita a fare un pò tutte le parti in commedia.Adesso in molte parti del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, le forze progressiste si mostrano capaci di indicare una prospettiva nuova. In Europa le forze progressiste di sinistra, nella prevalente tradizione socialdemocratica, appaiono ferme sulle gambe e sono da tempo colpite dalla crisi del compromesso sociale, che è stato il luogo politico per eccellenza della costruzione, formazione e rafforzamento di queste socialdemocrazie. Un compromesso sociale che è risultato affaticato dai suoi limiti interni, affaticato da orizzonti esclusivamente nazionali – questo è stato un limite enorme – ma scosso, però, anche dalla frusta della globalizzazione che ci ha portato in casa degli effetti dumping sui salari, sui diritti, sulla fiscalità.E queste forze non sono apparse in grado di indicare una prospettiva per l’Europa, a volte mostrando staticità, ripiegamenti e anche un qualche smarrimento dell’autonomia politica e culturale, come se bastasse a noi forze progressiste applicare più benevolmente le ricette degli altri. D’altra parte, la destra, anche nelle recenti elezioni europee, ha accumulato consenso, ma in modo spesso frammentato e imprigionato in formule difensive, addirittura regressive.A me pare che da tutto questo, in sostanza, derivi una perdita d’orizzonte delle politiche europee come tratto fondamentale di questa fase, cioè un’assenza di direzione di marcia. Come dicevo, c’è un aggiustamento incombente degli equilibri economici e sociali fondamentali nelle diverse aree del mondo. E questo lascia aperta la strada, durante e dopo la crisi, a sbocchi politici di diverso segno. Lo ripeto, non c’è dubbio che l’affacciarsi, a livello mondo, di nuove esigenze di regolazione e di un ruolo della politica nel determinare compatibilità sociali e ambientali della crescita offre il terreno per una fase nuova di elaborazione di iniziative delle forze democratiche e di sinistra europee. Una possibile riscossa alla quale i democratici italiani devono contribuire, a partire dalla nostra situazione nazionale.Nella dimensione italiana, la fase che si è aperta negli anni Ottanta ha determinato una riorganizzazione della politica, prima segnata da condizionamenti ormai estenuati della logica dei blocchi, poi dal vuoto lasciato dalla caduta del muro e dall’impronta di anti-politica con cui quel vuoto si è andato via-via chiudendo.Noi abbiamo avuto una fase di consolidamento bipolare, che bisogna riaffermare, ma che ritengo stabilizzata nella sua essenzialità e, tuttavia, irrisolta nella sua forma. Noi abbiamo vissuto un periodo nel quale Berlusconi, sostanzialmente, ha riorganizzato e reso utilizzabile per il governo del Paese tutto il campo del Centrodestra. Questa è stata la grande novità. Una fase nella quale il Centrosinistra ha conteso il governo del Paese, non senza risultati rilevanti, a cominciare dal grande appuntamento dell’Eur, ma senza trovare ancora una vera organizzazione del campo, nonostante la grande intuizione dell’Ulivo di Romano Prodi, che voglio salutare da qui.Nonostante la grande intuizione dell’Ulivo di Prodi – dicevo - e nonostante la nascita del Partito Democratico. Nessuno, peraltro, è riuscito in questi anni a sfondare davvero elettoralmente nel campo altrui; incursioni sì, sfondamenti no. Nel nostro Paese esistono dunque le potenzialità del ricambio, ma c’è ancora la presa di una leadership conservatrice con dei tratti fortemente ideologici.Questa leadership mostra con evidenza di esser sempre tentata ogni giorno di mettere il consenso davanti alle regole, di utilizzare il Governo per accumulare consenso, piuttosto che utilizzare il consenso per conseguire risultati veri, di governo, misurabili, utili alla riscossa del Paese. E, quindi, si rendono via via più evidenti sia i rischi di deformazione della nostra democrazia in senso populistico, sia le contraddizioni che la leadership conservatrice apre nei suoi rapporti col Paese. Non possiamo sottovalutare che le ultime elezioni hanno comunque segnato una battuta d’arresto della spinta propulsiva di Berlusconi.Quindi bisogna determinare con maggiore chiarezza di quanto non sia avvenuto fin qui il compito politico del Partito Democratico. Per me, questo compito si presenta con tre aspetti intimamente connessi: profilare meglio la nostra identità, il nostro progetto; tenere aperto il cantiere del partito; contribuire con efficacia all’organizzazione del campo del Centrosinistra. Sono convinto che un nostro profilo più leggibile, un’idea più chiara di partito potranno aiutarci, nei mesi successivi al Congresso e sulla base di vincoli programmatici, nella possibilità di riaprire un percorso di convergenza con formazioni ambientaliste di sinistra e civiche, che non hanno fino ad oggi partecipato alla costruzione del Partito Democratico.L’originaria ispirazione dell’Ulivo non può essere rimossa, nè vivere solo in una chiave evocativa, perchè non è infatti esaurita la questione sostanziale dell’incontro fra tutte le culture, le esperienze politiche e progressiste ancora oggi divise. E, tuttavia, questo non può essere un compito esaustivo; si deve accompagnare all’esigenza di riconoscere l’autonomia e la responsabilità di altre forze del Centrosinistra e dell’opposizione e di tracciare i primi passi politici per una riorganizzazione del campo dell’alternativa. Da soli non si può fare nulla.La vocazione maggioritaria del PD non può lasciare immaginare un ruolo esclusivo, va interpretata invece come capacità di presentare un progetto aggregante di governo del Paese e come responsabilità primaria nella costruzione di alleanze per una prospettiva politica di alternativa. Credo che il quadro di alleanze non sarà predefinito dal nostro congresso; deriverà da un percorso politico e programmatico e il primo grande ambito nel quale delimitare e proporre il confronto è quello della democrazia: istituzioni, regole, meccanismi elettorali. La curvatura populista, quando non plebiscitaria, con cui Berlusconi sta caratterizzando la Destra italiana, dov’è che prende consistenza? Prende consistenza, oltre che in meccanismi impari di comunicazione, in un’ibridazione di fatto fra modello presidenziale e modello parlamentare, una sorta di continuum fra Governo e Parlamento che la legge elettorale attuale ha reso agevole.Qui c’è una pericolosa deriva, che va interrotta, sia con una moderna legislazione antitrust nel campo della comunicazione, sia con una coerente riforma istituzionale ed elettorale. Ora, per un paese a democrazia matura, la scelta non può che essere fra struttura parlamentare e struttura presidenziale, ciascuna con i suoi contrappesi.Tenendo conto delle caratteristiche nostre, del sistema politico italiano, della nostra tradizione, noi scegliamo un modello parlamentare rafforzato e razionalizzato. E questo comporta, secondo proposte già avanzate in sedi culturali, in sedi parlamentari, un irrobustimento dei poteri dell’Esecutivo e del Premier e un irrobustimento delle forme di controllo del Parlamento, anche rivisitando i regolamenti. E la legge elettorale dovrà essere coerente con la forma di governo, dovrà evitare quindi ogni ritorno al proporzionalismo puro e perseguire un buon equilibrio fra rappresentanza, stabilità, governabilità, muovendosi nell’ambito di un bipolarismo nel quale l’elettore pretende di avere visibilità del quadro di alleanze e della loro stabilità. Questo equilibrio si può ottenere attraverso sistemi misti, ma la chiave politica è questa: la misura di questo equilibrio dovrà essere ricercato dialogando con tutte le forze politiche e parlamentari interessate a opporsi ai rischi di deformazione della democrazia, insiti nel modello della destra.Quello che è essenziale è la valorizzazione massima del rapporto fra eletti ed elettori, un rapporto che è devastato dall’attuale legge elettorale e che può essere ristabilito riaffermandolo in particolare attraverso i collegi territoriali. Siamo interessati a ricercare per le vie parlamentari un percorso di riforma delle istituzioni, della legge elettorale, dei regolamenti e contribuiremo a questo percorso promuovendo un confronto con le forze di opposizione dentro e fuori il Parlamento.E a questo grande ambito della democrazia noi dobbiamo affiancare anche la ricerca di una convergenza politica e programmatica sui temi economici e sociali, perché l’esigenza di proporre soluzioni sulle concrete condizioni di vita dei cittadini è percepita ampiamente oggi, quindi il PD promuove la centralità di questi temi, e chiede a tutte le forze d’opposizione un confronto e una iniziativa comuni, a partire dalle questioni cruciali della crisi. E qui c’è un punto importante. Credo che il PD debba esprimere la cifra della sua opposizione alla Destra, saldando la questione democratica, la questione economica e sociale. Perché privilegiando nella battaglia di opposizione un solo aspetto della crisi italiana, si rischia di assumere un ruolo minoritario o di denuncia impotente.L’opposizione che serve è quella che, caratterizzandosi con nettezza e senza ambiguità, lascia intravvedere la costruzione progressiva di una nuova prospettiva di governo, sia dal lato dei contenuti, sia dal lato della costruzione di uno schieramento alternativo e già nelle prossime elezioni regionali si dovranno sperimentare su basi programmatiche larghi schieramenti di centrosinistra, alleanze democratiche di progresso alternative alla destra.Le cose che ho detto fin qui sono una linea, non sono naturalmente la Bibbia. Io intendo mettere le cose che ho detto ed altre in un circuito che consenta di raccogliere lungo tutto il percorso congressuale i contributi, gli affinamenti, gli arricchimenti sia nel percorso interno al partito, sia nei circuiti della rete. Perché su un asse coerente questi contenuti, si devono migliorare, (credo che abbiamo il modo, in questa lunga vicenda derivata da uno statuto un pò farraginoso e barocco, di arrivare ad una partecipazione attiva di tantissima gente.Ci organizzeremo per ricevere contributi anche sui contenuti. Così come faremo anche per la parte che riguarda il tema del partito.La questione che ci si è posta nei mesi scorsi, secondo me, non è se essere un partito vecchio o un partito nuovo, ma se essere o no un partito. Se essere o no un’associazione volontaria, che avendo una ragione sociale, si dà un’organizzazione, un radicamento, dei luoghi di discussione politica effettiva, di partecipazione efficace degli aderenti, nonché una disciplina liberamente accettata e condivisa. Tutto questo non può essere risolto semplicemente ovviandolo con meccanismi di leadership mediatica o comunicativa, nè con meccanismi che garantiscano il semplice assorbimento della società così come essa si presenta.(Quasi fossimo un’idrovora e l’idrovora poi gira nei due sensi, secondo come la registri: o assorbi tu la società, o ti assorbe lei. Ma non fa molta differenza.)Il mancato chiarimento di questi punti fondamentali ha fortemente indebolito il nostro progetto, disperdendo energie, incentivando frammentazioni e, diciamolo pure, provocando delusione e ripiegamento sia di chi immaginava delle forme di condivisione, di militanza più tradizionali, sia di chi si attendeva una forte innovazione che, comunque, garantisse una partecipazione politica.Quindi, dico che è urgente correggere la costituzione formale e materiale del Partito Democratico; è urgente innanzitutto prendendo sul serio il nome che ci siamo dati. Propongo concretamente e precisamente queste essenziali direzioni di cambiamento: il Partito Democratico è un partito di iscritti e di elettori. La sovranità appartiene agli iscritti che, sulla base di regole, la delegano in determinate occasioni agli elettori.Quindi agli iscritti è riconosciuta una serie di diritti fondamentali, anche con strumenti incisivi come il referendum, e il radicamento organizzativo sul territorio, nei luoghi di studio, nei luoghi di lavoro è la condizione effettiva di un’apertura efficace agli elettori. Credo di dover ribadire – mi sono attribuite sciocchezze a questo proposito – il valore democratico delle primarie fra gli elettori, per le scelte dei candidati alle cariche monocratiche: sindaci, presidenti di provincia e regione e presidente del consiglio. E aggiungo che le primarie non possono essere semplicemente una procedura elettorale, ma un’occasione per costruire forme anche parziali di partecipazione, di coinvolgimento, di relazione organizzata fra partito ed elettori. Aggiungo anche che le primarie dovranno svolgersi nell’ambito delle coalizioni di cui il PD fa parte, perchè la scelta delle candidature rappresentative del PD nelle primarie deve essere determinata con metodo democratico dagli iscritti e dagli organismi del PD. Il Partito Democratico è un partito nazionale organizzato su basi federali, ma bisogna capire che cosa vuol dire. Ha radici nel territorio, seleziona lì le sue classi dirigenti, attribuisce e garantisce a scala territoriale le fondamentali risorse. Il finanziamento derivato da rimborsi elettorali per elezioni regionali, del tesseramento, delle feste, contributi dagli amministratori dovranno essere destinate ai circoli e alle organizzazioni provinciali e regionali. E una parte del finanziamento elettorale nazionale europeo dovrà essere destinato ogni anno a progetti di radicamento del partito nella società, laddove siamo più deboli.Aggiungo anche che la rappresentanza politica dovrà tenere conto, secondo me, stabilmente della dimensione territoriale. Quindi, nel rispetto del pluralismo congressuale, ogni organo dirigente dal livello provinciale a quello nazionale per la metà deve essere formato da rappresentanti designati dai livelli sottostanti.E gli organi dirigenti dovranno avere una dimensione numerica tale da consentire un’effettiva discussione politica e delle deliberazioni consapevoli, perché quando si è in troppi nessuno decide nulla e poi si decide in tre. Questo bisogna dirlo, e correggerlo!Inoltre, noi dobbiamo fissare che, qualunque sia il sistema elettorale per il parlamento nazionale, la grande maggioranza delle candidate e dei candidati dovrà essere determinata dai livelli territoriali con metodo democratico. Se facciamo così, allora io credo davvero che lo scorrimento fra esperienze territoriali e nazionali sarà il meccanismo fisiologico con cui procedere alla selezione delle classi dirigenti e al loro rinnovamento anche generazionale. Altrimenti, non ci si riesce, si fa solo cooptazione. Questa è la mia profonda convinzione.Il Partito Democratico, per definizione, è pluralista. Il pluralismo deriva dai confronti congressuali. Il partito persegue la parità di genere. Il pluralismo si esercita in forme tali da garantire l’espressione univoca delle posizioni del partito. E ciò significa, fatta ovviamente salva la più larga libertà di espressione e la piena partecipazione al dibattito interno al partito, ai gruppi consiliari e parlamentari, l’accettazione del principio di maggioranza e del vincolo alla posizione comune nelle sedi istituzionali.Le eccezioni a questo principio, perché sicuramente ci sono delle eccezioni, devono essere espressamente previste da un organismo di garanzia di rango statutario.Credo che il partito sia anche un’associazione culturale, che promuove cultura politica, che si alimenta nella ricerca e nel dibattito critico e che vive in una osmosi col vasto, articolato mondo dell’intellettualità democratica. Quindi il partito deve produrre una lettura critica della società, produrre formazione, vivere un rapporto attivo con le forze intellettuali. Non possiamo spendere tutti i soldi che abbiamo in comunicazione; bisogna che li spendiamo un pò anche in analisi, in ricerca, in aggiornamento culturale.Abbiamo risorse enormi, organizzate in associazioni e fondazioni con cui avere un rapporto anche stabile. E dico anche che il partito è anche una comunità di persone, di donne, di uomini e deve produrre una socializzazione a modo nostro. Quindi, per me, le iniziative a dimensione popolare, le feste, sono una parte costitutiva dell’attività di partito.Non vedo per quale deviazione mentale la promozione di nuovi strumenti di comunicazione da incoraggiare senza titubanze dovrebbe contraddire questo assunto. Non vedo perché. Il PD si deve dare forme organizzate, flessibili, temporanee, permanenti, associative per garantire rapporti con le organizzazioni sociali, del lavoro, dell’impresa, dei consumatori, del volontariato e questo deve avvenire ad ogni livello dell’organizzazione.E il partito deve organizzare la rete comunicativa dal basso verso l’alto, ogni sede deve essere un nodo della grande rete on line del partito. Poi la cosa essenziale: il partito deve avere la massima cura, ad ogni livello, della sua autonomia politica. Credo che questo sia un punto dirimente. Ad ogni livello si devono determinare le condizioni di questa autonomia, che a volte sono condizioni di tipo anche materiale-organizzativo.Ad ogni livello il ruolo di direzione del partito e di leadership istituzionali deve esser tenuti distinti. Non deve, in premessa, esistere automatismo fra ruoli di direzione del partito e candidature a compiti istituzionali. Sulla base di queste essenziali indicazioni, credo abbastanza precise, (e altre ne potrei produrre,) io dico che si deve procedere con immediatezza alle modifiche allo statuto, alla revisione degli assetti organizzativi degli organismi di direzione politica, e dell’attribuzione delle risorse finanziarie.Quando mi capitò, venti mesi fa, di definire partito liquido il rischio che avevamo davanti, mi si volle descrivere come un partitista vecchio stile, pronto a fare la riedizione di una specie di primato del partito. Era esattamente il contrario e forse ora lo si può capire meglio. Un partito non è mai un fine, è un mezzo, è uno strumento per promuovere cambiamenti utili alla vita collettiva; (come avviene per ogni associazione, la nostra ragione sociale è fuori di noi.)La ragione sociale del partito è il Paese e se vogliamo essere utili al Paese dobbiamo essere un partito che funziona, che crea solidarietà ed appartenenza e che traduce la partecipazione in iniziativa esterna, senza farla girare su se stessa. Questo è molto semplicemente quello che penso e quello su cui voglio confrontarmi.Ho finito cari amici e compagni. Ho cercato di metterci poca retorica e un pò di chiarezza. Spero di esserci riuscito. Dicevo all’inizio che in questo momento serve la testa. Concludendo, voglio dirvi però che ci vuole anche il cuore, ma il cuore non deve battere tanto per il leader o per il partito.Mentre guardiamo avanti, ricordiamoci per un attimo, non solo delle responsabilità enormi che abbiamo nel futuro, ma anche di quelle che abbiamo rispetto al passato. Centocinquant’anni nei quali tanta gente, pronunciando le nostre stesse parole, le ha pagate ad un prezzo ben più alto del nostro.Dico che se andassimo nel futuro senza sentire questo legame, saremmo come astronauti persi nello spazio. Il cuore deve battere soprattutto per l’antica e modernissima idea che questo mondo e questo paese possono essere davvero concretamente un pò più umani e un pò più giusti.Io dico che chi ci crede è giovane e che è vecchio chi non ci crede più.

FRANCESCHINI: LE CINQUE PAROLE CHIAVE DEL NOSTRO PD

Fiducia, Regole, Uguaglianza, Merito, Qualità
Le cinque parole chiave del nostro PD

Il discorso integrale della candidatura a segretario di Dario Franceschini
Attorno a noi sta cambiando tutto.Tutto corre nell’economia, nell’informazione, nelle nostre vite.E questa velocità sempre più folle sembra travolgere le nostre certezze, come se ci togliesse ogni appiglio, come se ci togliesse fiato, spingendo anche noi a correre. A correre senza una meta, a correre perché tutto si consuma in fretta attorno a noi e quindi bisogna vivere in fretta.Sembriamo condannati a vivere nel presente, incapaci di guardare lontano, nelle nostre vite individuali come nelle scelte collettive e nella politica. Incapaci di programmare, di fare oggi una scelta che non darà frutti domani ma fra qualche anno, per noi o per chi verrà dopo di noi.E’ come camminare guardando la terra che si calpesta anziché tenendo lo sguardo sull’orizzonte che si vuole raggiungere.E’ stato il modello di globalizzazione che è apparso trionfalmente vincente e indistruttibile sino alla crisi di settembre, a trascinarci in questo incapacità di cercare il futuro. I miti della crescita inarrestabile, della competizione e del mercato senza regole, hanno spinto a costruire sulla sabbia, a volere tutto e subito, perché tutto è sembrato possibile e facile.In effetti, il mondo emerso dal crollo del Muro di Berlino, il mondo del terzo millennio, è un mondo che si è messo a correre, come mai era successo prima. In meno di un quarto di secolo, il prodotto globale è raddoppiato due volte. In questo stesso periodo, in Asia, 400 milioni di persone sono uscite dalla povertà. Tra il 2003 e il 2007, il reddito medio mondiale è cresciuto ad un ritmo superiore al 3 per cento annuo, il tasso più alto dell'intera storia umana. La crescita dell’economia mondiale, sino alla crisi, è stata impetuosa, come mai era stata prima. Ma è stata anche il frutto di una contraddizione profonda.E’ stata alimentata da tre grandi, crescenti debiti americani: l’indebitamento delle famiglie, il deficit commerciale, il debito pubblico, cui va aggiunto un quarto debito: quello energetico ed ambientale con i suoi enormi costi, in termini ecologici e climatici.La crescita costruita scaricando il benessere raggiunto nel presente sulle prossime generazioni, sul futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti.Dunque la crisi nella quale l’economia globale è entrata nell’ultimo anno, al di là dei fattori contingenti che l’hanno provocata, è la crisi di un modello di capitalismo, miope e profondamente egoista.Il modello che, esplodendo, ha consegnato al mondo il gigantesco problema di riorganizzare il sistema economico mondiale su basi meno squilibrate, cioè senza accumulare debito, senza penalizzare chi verrà dopo di noi. E’ stato detto che il populista pensa alle prossime elezioni, il riformista alle prossime generazioni.Ecco. La destra italiana pensa sempre e solo alle prossime elezioni. Noi democratici pensiamo prima di tutto alle prossime generazioni.Qui si apre lo spazio per un nuovo riformismo.Un riformismo che abbia il coraggio di sfidare le destre non rincorrendole, non limitandosi a proporre correttivi ai modelli sociali che ha imposto, ma mettendo in campo una gerarchia di valori alternativa e proiettata sul futuro.Questa deve essere la nostra sfida e la sfida dei riformisti europei.E far ripartire la crescita su binari nuovi dovrebbe essere anche il compito di un’Europa che vuole tornare ad essere protagonista nella ridefinizione del modello di crescita globale. E invece l’Europa rischia di restare confinata in un ruolo secondario, non solo perché è politicamente debole ma perchè le manca una missione collettiva.E, non a caso, le elezioni europee hanno messo in evidenza, nel Vecchio Continente, una tendenza politica assai diversa rispetto a quella che tante speranze ha suscitato nel mondo.Le due più grandi democrazie del pianeta, di fronte alla crisi economica, si sono affidate ai riformisti: ai democratici americani di Obama o ai progressisti indiani di Sonia Gandhi.In Europa hanno invece vinto i partiti di centrodestra e le elezioni hanno anche fatto registrare un inquietante rafforzamento delle formazioni populiste o xenofobe.Dinanzi alla crisi, insomma, Stati Uniti e India si aprono, l'Europa si difende e si arrocca. E’ la paura che vince. Paura della crisi, paura dell’immigrazione e delle società multietniche, paura del futuro che spinge una società che invecchia a cercare chi offre più conservazione, chi punta tutto sulla protezione individuale, esaltando e rendendo assoluto il valore della libertà, a scapito della coesione sociale.E noi riformisti abbiamo sottovalutato per molto tempo la suggestione che questa cultura ha esercitato sulle nostre società e la profondità delle sue radici. La crisi mette ora in discussione le forme economiche del pensiero politico della destra, ma ancora non sembra scalfire le premesse su cui si regge quella cultura. In un tempo che resta segnato dal conflitto e dominato da insicurezza e paura del futuro, la destra cerca una sua nuova versione rassicurante e difensiva. Dalla stagione dell’ultraliberismo, del consumismo individualista, dell’esaltazione del privato contro ogni idea di pubblico, si passa al ritorno alla tradizione, all’ordine naturale, all’uso della religione come strumento di governo e come baluardo della civiltà occidentale, alla piccola comunità chiusa come antidoto alla globalizzazione. Insomma una versione corretta di Dio, patria e famiglia.Il voto italiano va collocato dentro questo vento di destra che ha attraversato l’Europa.Berlusconi stesso nel 1994 rappresentava una proposta di cambiamento. Illusoria, ma era una proposta di cambiamento. Oggi anche la sua proposta è solo di protezione e conservazione.Per questo non farà, non potrà fare nessuna riforma vera per tutta la legislatura ma produrrà solo provvedimenti tampone che trasmettano il messaggio di stare tranquilli, che dopo la crisi tutto tornerà come prima.Ecco il punto per noi, per il Partito Democratico.Vogliamo rincorrere la destra anche su questo o invece vogliamo dire con forza che noi crediamo che dalla crisi possa uscire un’Italia migliore, non quella di prima? Un’Italia che proprio attraversando le difficoltà riscopre i valori fondanti della solidarietà, delle comunità locali, dell’essere una nazione. Che recupera il senso di una grande missione collettiva in cui i talenti di ognuno sono a disposizione non solo di se stessi ma del proprio Paese.Il Partito democratico allora come forza che crede nel futuro.Che crede nelle riforme come chiave per il cambiamento di cui l’Italia ha bisogno da anni per uscire dalla stagnazione e dall’immobilismo.Che tutela gli interessi ma solo se rispettano i valori.Perché rispettare un valore e spesso il modo migliore per difendere un interesse.Combattere la povertà, contrastare il degrado sociale non significa, forse, estirpare una delle radici più profonde dell’insicurezza?Come dicevano i laburisti inglesi all’inizio del loro ciclo vincente: “Combattere il crimine e le cause del crimine”.O come ci ricordano le parole di Victor Hugo che stanno incise nel marmo di uno degli ingressi della Sorbona: “Aprire una scuola è chiudere una prigione”.Questo è quello che dobbiamo fare: ricostruire una identità del nostro campo.La destra italiana in questi 15 anni ha avuto stabilità negli assetti e un leader unificante. Così ha potuto costruire una identità, percepita da tutti, attorno ad alcuni messaggi chiari: sicurezza, libertà di fare ogni cosa, meno Stato. Il nostro campo nello stesso periodo ha avuto instabilità totale nei leader, nei partiti, che si sono sciolti, ricostituiti, sostituiti, nei governi fragili. E così non siamo riusciti a trasmettere che sensazioni indistinte, non messaggi chiari e univoci. Se voti destra sai cosa voti.Se voti di qua non sai cosa voti. E questo, più di ogni altra cosa, che spiega la sconfitta dello scorso anno e i risultati negativi delle amministrative e delle europee.Ricostruire una identità.Sarà un lavoro lungo e difficile ma il risultato delle europee ci mette in condizione di ripartire.Dobbiamo fare arrivare agli italiani messaggi comprensibili che facciano capire a tutti non solo la nostra proposta per il problema del giorno dopo ma quale è il modello di società che abbiamo in mente, quali è la diversità dei nostri valori di riferimento.Poche parole chiare, che caratterizzino il partito e che indichino la via lungo la quale costruire un programma di governo.Le parole di un riformismo moderno, che usa le radici e la memoria delle culture politiche del 900 italiano non per tornare nostalgicamente indietro, o per restare immobile, ma per immergersi in un cammino nuovo ed emozionante.La prima parola è FIDUCIA.Fiducia è la risposta alla paura che la destra alimenta e cavalca parlando di sicurezza. Paura della crisi, paura di perdere il lavoro, dell’immigrato, della criminalità, della povertà, della solitudine. Paura per il futuro del mondo e per i nostri figli che dovranno viverci.Quella paura che spinge alle ronde, a difendersi da soli, che spinge a rinchiudersi in casa, impauriti dagli altri che ti vivono vicini, e da come te li rappresenta la televisione.Servono allora misure e comportamenti che alimentino la fiducia personale e collettiva. Quella fiducia che tiene insieme la vita, le comunità, il mercato.Tutte le nostre politiche, tutte le nostre proposte concrete devono essere costruite attorno a questo messaggio positivo.Dalle misure per proteggere i lavoratori e cittadini dalla crisi, alle riforme economiche necessarie a dare prospettive a famiglie e imprese. Fino alle riforme istituzionali che ridiano fiducia ai cittadini in uno Stato e in una politica che debbono essere basati sulla trasparenza e sull’efficienza. Fiducia e coesione vanno sostenute nel mondo del lavoro, evitando di mettere nella crisi le difficoltà le une contro le altre, secondo antiche divisioni sociali.Per noi il mondo del lavoro di oggi è fatto insieme da lavoratori e imprenditori.E gli imprenditori non hanno smesso, come è stato detto, di essere nostri nemici per diventare nostri amici se rispettano le regole.Gli imprenditori sono una parte del mondo del lavoro e una parte di noi democratici.In campagna elettorale sono stato a Prato, in una piccola impresa del tessile. Il proprietario mi ha parlato dei problemi gravi della sua azienda poi, indicando i suoi dipendenti, mi ha detto: “Io non licenzio nessuno. O ci salviamo tutti o chiudo”.Questa è l’Italia che sconfiggerà la crisi.Combattere la precarietà, migliorare le condizioni dei lavoratori e dare alle imprese protezione dalla crisi e sostegno per innovare, sono due pezzi della stessa politica, la nostra politica.Le proposte che abbiamo avanzato in questi mesi per fronteggiare l’emergenza, dall’assegno di disoccupazione al credito per le piccole e medie imprese, sono due piccole prove di come si possa spingere all’unità del mondo del lavoro e non alle divisioni e alla disgregazione sociale, come se la società fosse divisa tra le vecchie classi di un tempo finito. Anche per questo è giunto il tempo di ragionare su forme moderne di partecipazione dei lavoratori alle scelte delle imprese, come ci indica da decenni la nostra Costituzione.Dobbiamo ridare fiducia a milioni di persone impaurite. Per questo vogliamo cambiare il nostro welfare e renderlo uno strumento universale che accompagni tutte le persone e le famiglie nel corso della vita, proteggendole dai rischi della povertà e dell’ emarginazione.Un welfare che cominci dalla cura e dall’educazione dei bambini, e che dia un ruolo centrale alla formazione permanente, come leva fondamentale per valorizzare le capacità personali. E vogliamo che riguardi non solo i lavoratori subordinati, come nel welfare storico, ma anche i lavoratori autonomi e gli imprenditori, specie quelli piccoli che oggi sono privi di difese sociali.La fiducia và restituita dando risposte alle paure dei cittadini, alimentate dalla criminalità e dall’immigrazione clandestina. Le risposte sono credibili se sanno coniugare fermezza nel contrasto all’illegalità, da chiunque provenga, con politiche di integrazione sociale e di accoglienza.Su questi terreni la nostra politica tradizionale è stata perdente, e va corretta. Perchè ha sottovalutato i problemi e le paure dei cittadini, non si è messa dalla loro parte, non si è disposta a capirli.La maggioranza degli italiani, e dei ceti popolari, se non riceve risposte, perde la fiducia nella buona politica e accetta le risposte della destra che assimila immigrazione a crimine, e ora indica l’immigrato anche come quello che ti toglie un posto di lavoro. Non si tratta di inseguire le ricette e i proclami repressivi della destra, inefficaci ma che intanto colpiscono l'immaginazione e il vissuto delle persone, anche dei nostri militanti. Bisogna recuperare fiducia dimostrando con i fatti che siamo in grado di difenderli, facendo rispettare l'ordine pubblico, se necessario con durezza come hanno fatto alcuni nostri sindaci, contrastando ogni forma di illegalità per evitare che l’impunità di pochi comporti la criminalizzazione di tutti. Solo facendo così potremo spiegare le buone ragioni dell’integrazione e dell’accoglienza. E quelle della solidarietà umana con chi attraversa il mare umiliato dallo sfruttamento dei racket. La seconda parola del nuovo riformismo è REGOLE.Da anni la destra italiana predica la sregolatezza, che tollera o incentiva le irregolarità, che esalta l’individualismo, la furbizia “dell’ognuno per sé” in ogni campo. Ha fatto dimenticare che buone regole non sono ostacoli all’iniziativa e alla libertà di persone e imprese ma sono invece strumenti di tutela dalle ingiustizie e dalle disuguaglianze.Noi vogliamo buone regole che oltre a sancire diritti, stabiliscano doveri e responsabilità, garantiscano la sicurezza collettiva.Se ci fosse stato più rispetto delle regole non avremmo avuti i disastri di Viareggio e le conseguenze del terremoto che ha colpito l’Aquila e l’Abruzzo. Non avremmo 1300 morti sul lavoro sul lavoro ogni anno e oltre 6000 sulle strade.L’applicazione rigorosa delle regole è il presidio della legalità e del contrasto alla criminalità organizzata che uccide le potenzialità straordinarie di interi pezzi del Paese.Di regole ha bisogno l’economia perché la loro assenza è la causa principale della destabilizzazione dei mercati finanziari e degli squilibri nell’economia reale.E proprio all’economia e alle imprese servono regole semplici e stabili che garantiscano il corretto svolgersi della concorrenza, che rompano i conflitti di interessi che in Italia sono diventati silenziosamente accettati, come fossero normali, avendo davanti l’esempio della massima autorità di governo. Dobbiamo dirlo. Il centrosinistra ha colpe precise non aver approvato una normativa sul conflitto d’interessi quando era maggioranza dal 1996 al 2001, ma quella responsabilità non ci può spingere adesso a restare ancora fermi e silenti.Abbiamo bisogno di nuove regole nello Stato e nella Pubblica Amministrazione, che funzionano male e peggio che negli altri grandi paesi europei.La gravissima crisi di affidabilità del sistema politico-istituzionale è squadernata ogni giorno sotto i nostri occhi dalle immagini televisive: le inchieste e gli scandali, la guerra tra le procure, i rifiuti campani, la lentezza della giustizia e della burocrazia che ostacola e sperpera. E potrei continuare. Lo stesso patto di lealtà fiscale ha come necessario presupposto che il cittadino sappia che i suoi soldi non vadano a finanziare spreco e inefficienza. E sappia che chi viola le leggi, esportando illegalmente capitali, non venga premiato anziché essere punito dalle legge.Per questo il PD deve impegnarsi per modernizzare lo Stato, anche stando all’opposizione.Noi non ci sottrarremo alla possibilità di condividere, anche da subito, con i nostri avversari una riforma che renda più efficace l’azione di governo e il ruolo del parlamento, cominciando dal passaggio ad una sola camera legislativa, con un senato federale ed un conseguente dimezzamento dei parlamentari eletti.La terza parola è UGUAGLIANZA.Uguaglianza è stata la parola forte dei grandi movimenti riformisti del secolo scorso. Qualcuno pensa che sia caduta in “disuso” e superata. Ma non è così. E’ una parola moderna, centrale nel mondo globalizzato.Un mondo in cui senza gli anticorpi della politica le disuguaglianze sono destinate ad aumentare drammaticamente, dentro i paesi e tra i paesi del mondo.Uguaglianza non come appiattimento delle differenze ma come valorizzazione delle diverse capacità delle persone, come uguaglianza delle opportunità, da sostenere non solo nelle condizioni di partenza ma nel corso della vita di ciascuno. L’Italia ha purtroppo un primato negativo: ha visto crescere le diseguaglianze tra i redditi, ha visto aumentare le distanze tra pezzi del suo territorio. Ha permesso il persistere di vaste sacche di povertà, specie nel mezzogiorno. Ha registrato un blocco dell’ascensore sociale che ostacola la possibilità delle persone di sviluppare le proprie capacità.Sono queste le diseguaglianze che sottraggono ai nostri giovani le aspettative dei coetanei di altri paesi europei, che impediscono al figlio dell’operaio di avere le stesse opportunità nella sua vita del figlio del notaio.Noi vogliamo cambiare questo destino che la destra ritiene inevitabile.Vogliamo invertire la tendenza partendo da proposte immediate, che creino aperture sociali.Pensiamo allo sviluppo della rete, della banda larga, come all’investimento infrastrutturale più importante di questo decennio. Come vettore di crescita e di riduzione delle disuguaglianze territoriali.Pensiamo per i giovani studenti a un anno di presenza all’estero finanziata, un Erasmus obbligatorio nel proprio percorso formativo, ma anche a incentivi a studenti stranieri per studiare in Italia, per attrarre cervelli. E all’interno del paese pensiamo ad uno scambio fra studenti del Nord e del Sud per rafforzare esperienze e culture comuni, per aprire le comunità del mezzogiorno.Noi pensiamo al mezzogiorno come la possibile risorsa dell’economia italiana. E’ la politica nazionale, siamo noi, non un partito del Sud, a dover credere che questo è possibile.Il mezzogiorno è stato per decenni alla periferia del sistema economico. Oggi il cambiamento geopolitico del mondo, la centralità del Mediterraneo possono trasformarlo da periferia dell’Europa nella sua principale porta d’accesso.Per riuscirci non ha bisogno di assistenza o di aiuti generici ma richiede risorse per ridurre il divario infrastrutturale, per sostenere le imprese che investono, per colmare i ritardi del sistema formativo e, soprattutto, per vincere la battaglia nazionale per la legalità e contro le mafie.Uguaglianza significa poi valorizzare la libertà di scelta e di lavoro delle donne. Perchè la libertà delle donne è la condizione essenziale per avere una società più dinamica e moderna, in cui la parità tra generi sia semplicemente garantita da una vera selezione sui talenti e le qualità personali. Per questo proponiamo misure di sostegno all’occupazione femminile, dirette alla condivisione dei ruoli nella famiglia e alla conciliazione fra lavoro e vita personale, e proponiamo un credito fiscale ai genitori che lavorano per le spese relative alla crescita e al mantenimento dei figli. E sono queste le basi su cui vogliamo costruire un nuovo patto fra generazioni e generi. Un patto che riguardi anche il sistema previdenziale. Perchè oggi è possibile e giusto chiedere la disponibilità ai genitori di lavorare qualche anno di più, se viene data a loro la certezza che questo serve non per finanziare sprechi, ma per dare ai propri figli più ammortizzatori sociali e più certezze sul loro futuro previdenziale.Un patto che allarghi le opportunità per tutti i cittadini nelle diverse fasi della vita, rispettandone e valorizzandone le diversità.Uguaglianza significa infatti tener conto delle diversità, anche di quelle interne al mondo del lavoro dipendente. Non vogliamo appiattirle ma vogliamo garantire a tutti i lavoratori una base comune di tutele e opportunità. Vogliamo contrastare la precarietà, non occuparcene soltanto per l’assenza di ammortizzatori sociali quaando il lavoro è ormai perduto. Le nostre proposte indicano chiaramente queste misure: dal superamento delle forme di collaborazione professionale che coprono rapporti di lavoro subordinato agli ammortizzatori sociali universali per tutte le imprese e i lavoratori. Sino alla previsione di una soglia minima di salario, comune a tutti i tipi di contratto.Questo zoccolo sociale comune costituisce la base per una buona occupazione e per una flessibilità sostenibile.L’uguaglianza infine deve essere la parola chiave anche nei rapporti internazionali, con nuove forme di governance multilaterali, che contrastino l’azione di un mercato e di un commercio senza regole e che diano voce a tutti i paesi, compresi quelli più svantaggiati. Per questo vigileremo che vengano mantenuti gli impegni presi dal nostro governo al G8 in materia di cooperazione allo sviluppo, la grande tradita di questo anno di governo.La quarta parola è MERITO.Una parola profondamente legata a quella precedente, a uguaglianzaPer sottrarsi alla retorica della meritocrazia occorre che il merito divenga la chiave della vita sociale e sia concepito come la leva fondamentale per superare molte delle ingiustizie sociali che opprimono la nostra società, per rimettere in moto la mobilità sociale.Merito per noi significa riconoscere e valorizzare le capacità delle persone, significa avere la speranza di migliorare la propria vita e quella dei propri figli. Merito non vuol dire competizione sfrenata ma riconoscimento dei talenti, dell’impegno, del valore del lavoro. L’egualitarismo indifferenziato ha prodotto nel corso dei decenni più recenti, gravi e profonde ingiustizie sociali. Per questo l’affermazione del merito può tradursi, se declinato con rigore, in un fattore di forte discontinuità culturale, in una battaglia profondamente democratica.Per questo le nostre proposte si rivolgono a tutti, alle componenti più dinamiche della società, che non devono temere di essere penalizzate e a quelle più esposte ai rischi di emarginazione, che vanno sostenute nella loro crescita. Oggi la società italiana è prevalentemente organizzata su sistemi di cooptazione basati su relazioni familiari, professionali, politiche, sindacali, associative o di altro genere. Relazioni che condizionano l’accesso a carriere pubbliche e private, alle professioni come allo svolgimento di attività di impresa in una serie di settori protetti da potenti barriere. La nostra battaglia deve rompere questo immobilismo, settore per settore. Deve innestare radicali cambiamenti per aprire tutti i campi e per investire sulla intelligenza e la creatività dei ragazzi italiani.E il criterio del merito, associato a quello del dovere, deve riguardare in primo luogo la scuola e le università, gli studenti e le loro famiglie. Ma deve poi riguardare anche la progressione di carriera dei docenti e deve diventare il criterio per il trasferimento di risorse da parte dello Stato alle singole università, con certificazione di qualità in base a parametri europei.Questa impostazione va adattata in tutto il settore pubblico dove l’ottica attuale deve essere corretta: mettersi non soltanto dalla parte dei dipendenti o degli amministratori pubblici ma dalla parte dei cittadini.Non si può più attribuire le inefficienze solo e sempre alla mancanza di risorse. Non è vero che più soldi generano sempre più qualità. Molto dipende da una migliore organizzazione, da procedure semplificate, dall’impegno di chi vi opera. E chi opera bene va riconosciuto e premiato. Il merito deve affermarsi anche nello spazio dell’attività economica privata. Un’idea meritocratica del mercato non vuol dire affatto liberismo. Vuol dire affermare, anche nei rapporti economici una nuova etica della responsabilità, regole dei mercati e trasparenza a tutela delle imprese e dei cittadini. Sta alle forze progressiste mostrare che la risposta conservatrice, apparentemente protettiva e tranquillizzante, in realtà non crea un nuovo ordine ma cerca solo di rinviare il problema e di tenere tutto drammaticamente immobile.La quinta e ultima parola è QUALITA’Nel mondo globalizzato ogni paese, ogni economia nazionale dovrà rinunciare ad essere competitiva su tutto e dovrà puntare sui terreni su cui è più forte e vincente.Alcune nazioni punteranno sul basso costo della mano d’opera, altre sulle grandi estensioni territoriali, altre sulle materie prime.L’Italia dovrà puntare sulla qualità. Puntare sulla qualità significa puntare sull’eccellenza, sulla parte alta della filiera produttiva, dove contano di più la creatività e il capitale umano. Significa investire in conoscenza. Scuola, scuola, scuola e poi università, ricerca, innovazione, cultura. Significa valorizzare la capacità di produrre o di inventare cose che piacciono a un mondo voglioso di qualità.Alle Olimpiadi di Pechino erano piemontesi le pavimentazioni degli impianti sportivi, bresciani i fucili che hanno vinto medaglie, marchigiane le macchine elettriche, lombarde le piscine, toscani gli scafi del canottaggio, del CNR la centrale di monitoraggio ambientale più grande al mondo.Qualità significa valorizzare la bellezza del proprio territorio, delle coste, delle nostre montagne, delle città e dei borghi italiani, della loro storia e del loro patrimonio culturale. Valorizzare un tessuto di piccole e medie imprese legate al territorio e attente alla qualità. Valorizzare le radici e le nostre tradizioni, un intreccio unico di storia e cultura, di agricoltura e prodotti tipici, di buona cucina, di coesione sociale e qualità della vita. L’Italia è la risorsa dell’economia italiana. Difenderla dalla devastazione e dal saccheggio, è come per l’economia di un paese arabo tutelare le proprie risorse petrolifere.Anche per questo valorizzare e investire sull’ambiente e l’economia verde deve essere la nostra priorità. La green economy sarà nel prossimo decennio ciò che è stata la rivoluzione informatica negli anni 80, il nuovo motore dell’economia mondiale. Chi raccoglierà questa sfida sarà protagonista, chi si attarderà è destinato a rimanere ai margini. I risultati del recente G8 hanno segnato una timida inversione di tendenza nell’impegno per le energie rinnovabili e contro il riscaldamento globale.Occorre fare di più.Noi vogliamo che l’Italia faccia proprio il programma della presidenza Svedese dell’Unione europea e per questo proponiamo che si alleggeriscano le tasse sulle imprese che mettono in atto comportamenti meno inquinanti.Noi vogliamo che l’Italia guidi una rivoluzione verde, vogliamo estenderne le grandi opportunità a tutti i territori, a cominciare da quelli del Sud, che su questi temi potrebbe riscoprire una vocazione che traini il suo sviluppo. Per centrare questo obiettivo serve un Partito Democratico più coraggioso e più netto nei suoi sì e nei suoi no. Sì a una radicale riconversione del nostro sistema energetico verso l'efficienza, il risparmio, le fonti rinnovabili.No al nucleare del passato, pericoloso e costosissimo. Sì a una rivoluzione fiscale che alleggerisca il prelievo su lavoro e imprese che inquinano e consumano meno. No all'abusivismo e al consumo spregiudicato di territorio.Sì all'edilizia di qualità e alla sicurezza antisismica. No a tutte le forme di illegalità ambientale, cominciando da una lotta senza quartiere alle ecomafie e dall'inserimento dei reati ambientali nel codice penale.Sì a uno sviluppo locale e urbano che scelga una mobilità più sostenibile e meno soffocata dal trasporto su strada, che opti per sistemi moderni di smaltimento dei rifiuti.E’ su questa rotta che oggi deve muoversi l’Italia. Dobbiamo avere fiducia nei nostri talenti. Abbiamo territori ricchi di saperi, di creatività, di comunità che conservano qualità della vita e forte coesione sociale. Dobbiamo valorizzare questi talenti con l’innovazione, sfruttando le grandissime opportunità offerte dalle nuove tecnologie.Ma dobbiamo farlo.Ricostruire un’identità del nostro campo e farci capire dagli italiani con parole chiareSarà un lavoro lungo e difficile. Serviranno passione e tempo.Un lavoro importante anche perché su questa base poi costruiremo la nuova alleanza con cui candidarci alla guida del Paese e vincere.Vogliamo tornare a vincere e quindi sceglieremo la strada delle alleanze anche per il governo nazionale, come abbiamo fatto nei comuni e nelle province e come faremo il prossimo anno nelle regioni.Ma dobbiamo dire con chiarezza che non torneremo a quella stagione delle coalizioni frammentate e litigiose, costruite con l’unico collante del nemico.Quel tipo di coalizione che ha sempre colpevolmente coperto la qualità dell’azione dei governi di centrosinistra. Formeremo una alleanza che dia agli italiani la garanzia di un programma condiviso e realizzabile. Credibile non solo per vincere ma anche per poi riuscire a governare.E difenderemo i principi del bipolarismo e dell’alternanza tanto faticosamente conquistati. Non torneremo indietro, ad un centro-sinistra col trattino, basato su una divisione di compiti nel raccogliere consenso o nel rappresentare pezzi di società e che circoscriva la nostra capacità espansiva. Solo ipotizzarlo significa dichiarare fallita l’esperienza del Pd, che è nato proprio sul superamento di quella divisione di compiti e significa non avere capito che quello schema si trascina forse in pezzi di classe dirigente ma non esiste più da tempo nel nostro popolo.Un unico popolo fin da prima che nascesse il Partito democratico.Non torneremo nemmeno indietro a scelte politiche né accetteremo leggi elettorali che spostino a dopo il voto la scelta delle alleanze, sottraendo ai cittadini il diritto di conoscerle e sceglierle prima.Dopo che gli è stato già tolto il diritto di scegliere le persone da eleggere. Diritto che noi vogliamo venga restituito a loro, con il ritorno ai collegi uninominali, compatibili con diversi modelli di legge elettorale, ma sempre in grado di mantenere il migliore rapporto tra un eletto e il suo territorio.Per preparare una nuova alleanza servono pazienza e lavoro. Oggi caratterizzarsi e scontrarsi nel dibattito congressuale soltanto sulla scelta dei possibili alleati di domani sarebbe prova di una sconcertante povertà di idee. Fare l’opposizione insieme con altri partiti, individuare battaglie comuni, in Parlamento e nel Paese, sui contenuti dell’azione di governo, sarà il terreno migliore per sperimentare la possibilità di formare una alleanza coesa e credibile.Fare l’opposizione.Parliamo troppo poco di questo.Eppure questo oggi è il nostro compito principale.Il compito che dobbiamo svolgere anche in questi mesi di congresso, tenendo distinto il piano del dibattito interno dall’esigenza di rappresentare le posizioni del partito all’esterno in modo unitario e condiviso.Dobbiamo continuare a mettere in campo proposte per risolvere i problemi del Paese ma questo non è in alcun modo in contrasto con quello che fanno le opposizioni in tutte le democrazie del mondo: si oppongono.Criticano l’azione del governo, ne denunciano le omissioni e le colpe.Noi dobbiamo riuscire a farlo con più determinazione. Non dobbiamo farci condizionare dalle parole dei nostri avversari o di quei politologi interessati che ci accusano di antiberlusconismo ad ogni critica che facciamo.Contrastare il governo non è antiberlusconismo. Essere riformisti non significa restare zitti.Un riformista alza la voce, batte i pugni sul tavolo quando vede violentati lo stato di diritto e le istituzioni democratiche, quando vede un governo che nega la crisi e le difficoltà di milioni di italiani, che non approva né riforme strutturali né misure per fronteggiare l’emergenza.Un riformista alza la voce e batte i pugni sul tavolo quando un capo del governo attacca la stampa libera e il diritto di cronaca, quando intimidisce imprenditori e editori, quando offende le istituzioni internazionali, colpevoli solo di dire la verità. La verità. Questa cosa per lui così strana e pericolosa.Fare l’opposizione con fermezza e contemporaneamente mettere in campo proposte per fronteggiare la crisi. E poi fare il partito.Perché il partito lo stiamo ancora costruendo. E il congresso sarà l’occasione per fargli fare un grande passo in avanti. Per questo non dobbiamo temerlo o viverlo come una lacerazione, o addirittura come l’anticamera di una scissione.Qualsiasi cosa accada noi resteremo insieme.Ma abbiamo bisogno di un confronto vero e onesto tra visioni differenti sul futuro e su quello che abbiamo fatto da quando il PD è nato. Ci sono certamente stati limiti e abbiamo fatto errori, abbiamo già attraversato sconfitte e risultati positivi, come sempre è stato e sempre sarà.Ma per una volta vorrei che tutti noi rivendicassimo il lavoro che insieme abbiamo fatto.Rivendicassimo con orgoglio il lavoro straordinario che insieme abbiamo fatto. In venti mesi abbiamo dovuto sciogliere i partiti precedenti, darci regole e statuti, radicare i circoli. Abbiamo fatto le primarie, gestito due campagne elettorali.In venti mesi abbiamo costruito uno dei più grandi partiti del campo progressista. Alle elezioni europee di quel campo siamo diventati il primo partito, il partito che ha preso più voti. Abbiamo cambiato la politica italiana, chiudendo la stagione della frammentazione politica e delle coalizioni contro.Abbiamo fatto nascere oltre 6000 circoli, abbiamo ormai incrociato e mescolato le nostre provenienze, come questo congresso sta dimostrando, abbiamo oltre mezzo milione di iscritti e migliaia di quadri e amministratori.Su questo lavoro oggi possiamo investire.Da questo lavoro, anche dai nostri errori, possiamo ripartire per costruire il partito.Un partito che coltiva le diversità culturali al suo interno come una ricchezza, ma che cerca e trova la sintesi.Diversità non significa galleggiare e non scegliere. Significa dialogare, accettarsi e poi decidere. Nel modo più semplice e antico, quello che per noi sembrava un tabù: votando.In questi quasi cinque mesi da Segretario ho cercato di fare così: su temi che sui giornali sembravano destinati a spaccarci drammaticamente, abbiamo discusso e votato. Dalla scelta sul referendum, alla convocazione del congresso sino alla nascita del nuovo gruppo parlamentare al parlamento europeo, l’Alleanza progressista.E fatemi dire che questa è la nostra vittoria politica più bella. Sul terreno che a tutti sembrava il più insidioso e insormontabile, abbiamo fatto fare un passo enorme a tutte le forze democratiche e socialiste europee verso una nuova casa comune.E così continueremo a fare: discutere e decidere, anche sui temi più difficili, a cominciare da quelli eticamente sensibili.Diremo no a chi pensa che su un terreno così nuovo e delicato, che interroga e riempie di paure e di speranze le coscienze di laici e cattolici allo stesso modo, il confronto voglia dire soltanto sbattersi reciprocamente in faccia la propria verità.Ci aspetta alla Camera il lavoro sul testamento biologico. Ci ascolteremo, dialogando. Ma alla fine decideremo la posizione del partito. Rispetteremo fino in fondo chi non si sentirà di condividerla, ma decideremo. Sarà il modo più onesto di interpretare la laicità del nostro partito e di rispettare il principio intoccabile della laicità dello stato.Quello che sta scritto nella nostra Costituzione e che appartiene a tutti noi, laici e cattolici del PD.Lo hanno detto molto chiaramente i 60 parlamentari cattolico- democratici nella lettera con cui due anni fa hanno spiegato il rapporto tra la loro scelta di fede e la laicità nelle scelte politiche e parlamentari.E non dobbiamo cadere nella tentazione di far diventare questo tema il terreno dello scontro e delle divisioni congressuali. Deve essere invece la base condivisa del nostro percorso comune.La laicità oggi non è più soltanto il principio che regola il rapporto tra Chiesa cattolica e Stato. Nella società aperta, nel mondo globale e plurale, il tema della laicità va declinato in modo più ampio. Non si può parlare al singolare: esistono fedi e culture diverse che sono chiamate a convivere. E questo pluralismo è caratterizzato da valori e tradizioni a loro volta diversi, che talvolta possono essere in conflitto. Essere laici nelle società contemporanee significa accettare che nessuna scelta politica sia sottratta alla faticosa strada delle necessarie sintesi. Sapendo con certezza che nessuna legge potrà mai essere l’automatica traduzione di un valore religioso. La laicità, dunque, oggi è la garanzia della libertà di tutti, credenti in una fede o non credenti, nello spazio pubblico, nei loro diritti civili. E non si può pensare ad un baluardo più solido, a difesa dello Stato laico, di un grande partito come il PD. Un partito forte perché radicato nella complessità del popolo italiano, e quindi capace di resistere ad ogni tentativo di condizionarne le scelte. E un partito plurale. Un partito che fa della contaminazione tra le visioni del mondo e le culture politiche al proprio interno, un argine efficace contro tutti gli integralismi e i fondamentalismi, religiosi come ideologici.Poi vogliamo un partito aperto. Che spalanca i propri gruppi dirigenti a quelle persone, soprattutto a quei giovani e quelle donne, che non hanno appartenenze precedenti e che hanno scelto di cominciare il loro impegno politico con il Pd.Quelli che vorrebbero entrare e impegnarsi ma spesso non sanno nemmeno a che porta bussare e invece abbiamo un bisogno enorme della loro freschezza e delle loro energie.Un partito che investe e spende nella formazione politica. Questa cosa preziosa e dimenticata. Indispensabile per spazzare l’idea superficiale che si possano avere responsabilità politiche senza un percorso di preparazione e di studio che comincia dal basso, dalla gavetta.Un partito in cui il rinnovamento necessario dei gruppi dirigenti non ha nulla a che vedere col “nuovismo” scelto dall’alto, ma significa valorizzare e investire sull’esperienza e sul radicamento territoriale di sindaci, di amministratori, di segretari provinciali e coordinatori di circolo, di parlamentari e quadri del partito.Appena eletto segretario ho pensato di dover fare così, ho sciolto i vecchi organi collegiali e ho formato una segreteria costituita da un Sindaco, un Presidente di Provincia e uno di Regione, un segretario regionale e uno provinciale, una parlamentare e un consigliere regionale.Per questo non devo fare promesse, ma soltanto dire che con questi stessi criteri comporrò la mia futura squadra.Un partito che difende come oro la forza dei propri militanti. Tutte quelle persone che hanno scelto, iscrivendosi al partito, di dedicare una parte della propria vita a un ideale, tenendo aperti i circoli, distribuendo volantini e giornali, animando le feste di partito, appassionandosi per la politica.Ma un partito che sa anche che nella società di questo secolo esistono altre forme di partecipazione a un progetto politico, meno stabili ma non per questo meno vere e appassionate. Cambiamo lo statuto dove non funziona. Rivediamo le regole del tesseramento per avere più apertura e più trasparenza insieme.Mettiamo un po’ d’ordine nelle regole ma non rinunciamo alla scelta che abbiamo fatto alla nascita del Pd, di affidare agli iscritti le scelte del partito e l’elezione degli organi territoriali, affiancando a loro gli elettori, da chiamare nei momenti delle grandi scelte, com’è certamente l’elezione di un segretario nazionale.Non alziamo barriere. Gli elettori del Pd non sono estranei, sono parte di noi. Sono quelli che arrivano nelle grandi mobilitazioni civili, che ci sostengono nelle campagne elettorali, che riempiono le piazze e i comitati. Ecco perché difendo questo equilibrio e perché penso che le primarie del 25 ottobre saranno un’altra momento importante per noi e per la democrazia italiana. Io voglio un partito solido. Ma fare un partito solido nel 2009 non significa rispolverare i modelli di cinquant’anni fa.Poi un partito nazionale e federale insieme che, dentro una missione unitaria, lasci ai partiti regionali autonomia politica e statutaria nella scelta del modello organizzativo, delle alleanze, dei candidati, delle priorità programmatiche. Partiti regionali che, come prevede il nostro statuto, possano decidere di aggregarsi per aree geografiche omogenee, nel nord o nel sud del paese, per dare più forza, organizzativa e politica alla nostra azione.Un partito infine radicato sul territorio, che vuole avere un circolo in ogni paese, in ogni quartiere con una sede aperta. Circoli che non siano solo luoghi per misurare i rapporti di forza nei congressi o per comporre organi e giunte, ma che si occupino del territorio e dei problemi delle comunità locali in cui sono.Questo è il radicamento. Circoli come antenne per ascoltare e capire l’Italia.Ce ne sono migliaia che sono nati così e che vogliono restare così. Li ho incontrati dappertutto girando città e comuni, prima e durante la campagna elettorale. Circoli e iscritti che rifiutano di appartenere a tizio o a caio, a un capo o all’altro. Che sono nati liberi e vogliono restare liberi.Che al congresso voteranno il Segretario nazionale non in base all’indicazione ricevuta da qualcuno che conta ma secondo coscienza, scegliendo il candidato per pensano farà meglio per il loro partito. Guardando non da dove viene ma dove vuole andare.Un Patto con i Circoli. Questa è la mia proposta per il congresso.Un Patto che rispetti la pluralità di culture che arricchiscono il partito. Che non le teme. Che non cerca di fare prevalere una identità sulle altre.Avere scelto di fare un grande partito significa necessariamente imparare ad accettare le diversità che ci sono ancora tra noi.Sentirsi come un fiume, come un grande fiume che raccoglie e mescola le acque di tanti affluenti e le porta verso il mare lontano.L’arcipelago di storie e provenienze che sostengono la mia candidatura non è un limite è una ricchezza.Sarà mia la responsabilità di fare sintesi, e di trasformare in un messaggio condiviso e unico questa varietà di posizioni. Che sono però, voglio dirlo con chiarezza, la migliore garanzia che il Partito Democratico resterà fedele all’idea che l’ha fatto nascere. Che non torneremo indietro. Che non torneremo a riconoscerci nelle provenienze che abbiamo scelto liberamente e consapevolmente di lasciare alle nostre spalle.Ci vuole sempre più coraggio quando si sceglie di andare avanti. Fermarsi o tornare indietro può essere più tranquillo e rassicurante, soprattutto in un tempo di paure e incertezze.Ma noi vogliamo un partito che ha il coraggio di rischiare. Un partito che ha coraggio nel costruire se stesso e il proprio radicamento con pulizia e con rigore, che ha coraggio sia nell’ammettere i propri errori che nel rivendicare con orgoglio i risultati della sua giovane storia.Un partito che ha coraggio nel fare l’opposizione, sfidando la prepotenza e il potere di questa destra con la forza delle ideali, della voce, delle mani e delle braccia di migliaia di donne e di uomini.Un partito che ha coraggio nello svegliare la coscienza civile di un paese che sotto la crosta è pieno di forza e di energia positiva, di talenti e di voglia di futuro.Un partito che propone all’Italia il cambiamento contro la conservazione. Oggi, davanti a voi, assumo l’impegno di mettercela tutta.Ho cominciato ad amare la politica a 16 anni, in una assemblea studentesca che non potrò mai dimenticare, piena di giovani che si infuocavano di amore per le loro idee, così lontane, così diverse, così assolute.Credevamo tutti che la politica fosse la chiave per cambiare il mondo.Da allora ho incrociato speranze e amarezze, ho iniziato a 20 anni in consiglio comunale e mi sono trovato segretario del partito che ho sempre sognato, ho fatto errori, ho conosciuto l’entusiasmo e la disillusione. Ma sono ancora convinto che la politica sia quella chiave per cambiare il mondo, sia la chiave per costruire il giorno che viene. “Ogni mattina –ha scritto David Maria Turoldo- quando si leva il sole, inizia un giorno che non ha mai vissuto nessuno”. Abbiamo davanti a noi un tempo che vale la pena vivere.

Sarà un tempo di sfide dure e bellissime.
Sarà il nostro nuovo giorno.
E noi lo vivremo

CONGRESSO PD REGOLAMENTO PER L'ELEZIONE DEL SEGRETARIO E DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE

Regolamento per l’elezione del Segretario e dell’Assemblea Nazionale
La Direzione del Partito Democratico, riunitasi il 26 giugno 2009, approva il seguente regolamento per le procedure di elezione del Segretario e dell’Assemblea Nazionale, dei Segretari Regionali e delle Assemblee Regionali, ai sensi del vigente Statuto del Partito.
I. CONVOCAZIONE E SVOLGIMENTO DELLE CONVENZIONI NAZIONALE E PROVINCIALI E DELLE RIUNIONI DI CIRCOLO

Articolo 1
(Convocazione del procedimento elettorale)
1. La Prima Convenzione nazionale del Partito Democratico è convocata per il giorno 11 ottobre 2009 .
2. Le Convenzioni provinciali si dovranno svolgere entro il 4 ottobre; le Convenzioni Regionali entro il 10 ottobre.
3. La Convenzione nazionale si svolge sulla base della presentazione delle candidature alla carica di Segretario e del confronto sulle relative linee politico-programmatiche, ai sensi delle disposizioni previste dallo Statuto.
4. La data di svolgimento dell’elezione del Segretario e dell’Assemblea nazionale, dei Segretari e delle Assemblee regionali è fissata per il giorno 25 ottobre.

Articolo 2
(Commissione nazionale e Commissioni provinciali)
1. La Direzione nazionale elegge, con la maggioranza dei tre quarti dei votanti, una Commissione Nazionale formata da 11 componenti, integrata successivamente da un rappresentante per ciascuna delle candidature presentate. Alla Commissione partecipa, in qualità di invitato permanente, il Presidente della Commissione Nazionale di Garanzia o un suo delegato. La Commissione, nella prima seduta, elegge al suo interno il coordinatore.
2. La Commissione, nello svolgimento dei suoi lavori e nelle decisioni che assume, si ispira al principio della ricerca del più ampio consenso.
3. Le Direzioni provinciali eleggono entro il 22 luglio, con la maggioranza dei tre quarti dei votanti, una Commissione Provinciale , formata al massimo da 11 componenti, successivamente integrata da un rappresentante per ciascuna delle candidature. Alla Commissione partecipa, in qualità di invitato permanente, il Presidente della Commissione di Garanzia o un suo delegato. La Commissione, nella prima seduta, elegge al suo interno il coordinatore.
4. In caso di mancata elezione, entro il 22 luglio, di una o più commissioni provinciali, la Commissione Nazionale entro il 30 luglio provvede alla nomina.

Articolo 3
(Presentazione delle candidature a Segretario nazionale)
1. Entro le ore 20.00 del 23 luglio vengono depositate presso la Commissione Nazionale le candidature alla Segreteria e le relative linee politico-programmatiche.
2. Tutte le candidature debbono essere sottoscritte: da almeno il 10% dei componenti l’Assemblea Nazionale uscente, oppure, da un numero di iscritti compreso tra 1500 e 2000, distribuiti in non meno di cinque regioni, appartenenti ad almeno tre delle cinque circoscrizioni elettorali per il Parlamento europeo.
3. La Commissione nazionale cura la pubblicazione delle linee politico-programmatiche presentate e assicura a tutte eguale dignità e piena parità di diritti.
4. L’ordine di presentazione delle candidature sarà assunto anche come ordine di illustrazione delle candidature stesse, e delle relative linee politico-programmatiche, nel corso delle Convenzioni provinciali e delle Riunioni di Circolo.

Articolo 4
(Modalità di svolgimento delle riunioni di Circolo)
1. Le riunioni di Circolo si svolgono non oltre il 30 settembre.
2. Partecipano con diritto di parola e di voto alle riunioni di Circolo (territoriale e di ambiente) e possono essere eletti negli organismi dirigenti o di garanzia, nonché essere delegati ad una Convenzione di livello superiore, tutti gli iscritti al partito regolarmente registrati alla data del 21 luglio 2009.
3. Gli iscritti ai Circoli on line, regolarmente registrati, hanno diritto di partecipare con diritto di parola e di elettorato attivo e passivo alle riunioni dei Circoli territoriali o di ambiente da essi indicati all’atto dell’iscrizione come sede di esercizio dei propri diritti, ai sensi dell’art. 14, comma 2. dello Statuto.
4. In apertura delle riunioni di Circolo, su proposta del segretario del Circolo stesso, viene costituita e messa ai voti per l’approvazione una Presidenza, che ha il compito di assicurare il corretto svolgimento dei lavori e che garantisca la presenza di almeno un rappresentante per ciascuna candidatura. Fa parte della Presidenza un membro della Commissione provinciale o un suo delegato esterno alla stessa che è tenuto ad assistere ai lavori della riunione, con funzioni di garanzia circa il regolare svolgimento dei lavori.
5. In apertura delle riunioni di Circolo vengono presentate le linee politiche collegate ai candidati, assicurando a ciascuna di esse pari opportunità di esposizione, entro un tempo massimo di 15 minuti.
6. Le modalità e i tempi di svolgimento delle riunioni di Circolo devono garantire la più ampia possibilità di intervento agli iscritti.
7. Le riunioni di Circolo sono aperte alla partecipazione di elettori e simpatizzanti del Partito Democratico. La Presidenza dell’assemblea, sulla base dei tempi e delle modalità concrete di svolgimento della riunione, valuta la possibilità di dare la parola anche agli elettori e ai simpatizzanti che ne facciano richiesta.
8. Nel corso dello svolgimento della riunione, ed entro un termine fissato dalla Presidenza, vengono presentate le liste dei delegati alla Convenzione provinciale, collegate alle candidature alla Segreteria nazionale. Nella sua composizione ciascuna lista deve rispettare i principi dell’alternanza di genere. Possono essere delegati anche iscritti appartenenti ad altri Circoli della stessa Provincia. È possibile presentate più liste di delegati collegate allo stesso candidato alla Segreteria nazionale: in questo caso il presentatore della mozione nazionale dovrà autorizzarle.
9. La convocazione della riunione deve essere spedita a tutti gli iscritti al circolo almeno 5 giorni prima dello svolgimento, e deve indicare il giorno e l’ora di inizio della riunione, il programma dei lavori e l’orario di avvio e di fine delle votazioni, che dovranno durare non meno di una e non più di sei ore consecutive da collocare in orario di norma non lavorativo e dunque di preferenza dopo le ore 18. 00 o nel fine settimana. La votazione avviene assicurando la segretezza e la regolarità del voto. Lo scrutinio è pubblico e viene svolto dalla Presidenza immediatamente dopo la conclusione delle operazioni di voto.
10. E’ compito della Commissione nazionale predisporre il modello di scheda da utilizzare nelle votazioni previste nelle riunioni di circolo.
11. Il numero dei delegati da indicare in ciascuna riunione di Circolo è stabilito dalla Commissione provinciale, sulla base dei criteri fissati dalla Commissione nazionale.
12. La Commissione provinciale, acquisiti tutti i verbali delle Riunioni di Circolo, procede innanzitutto all’assegnazione dei seggi spettanti al complesso delle liste collegate a ciascun candidato a Segretario nazionale. A tal fine si utilizza il metodo del quoziente naturale e dei più alti resti. Il numero dei delegati da assegnare alla lista o alle liste collegate a ciascun candidato a Segretario nazionale è ottenuto dividendo il complesso dei voti da essa o da esse riportati per il quoziente naturale, ovvero il totale dei voti validi divisi per il numero dei delegati da eleggere, ed assegnando i seggi eventualmente così non assegnabili alle liste con i maggiori resti. Nel caso in cui vi siano più liste collegate al medesimo candidato, il complesso dei seggi ad esse attribuito viene tra loro ripartito con il medesimo metodo del quoziente naturale e dei resti più alti.
13. La Commissione provinciale procede quindi alla distribuzione nei singoli circoli dei seggi così assegnati alle varie liste. A tal fine si procede in primo luogo alla assegnazione dei seggi in ogni circolo attribuendo a ciascuna lista di circolo tanti seggi quanti quozienti naturali di circolo interi essa abbia conseguito in quel circolo. Il quoziente di circolo è dato dalla divisione tra la somma dei voti validamente espressi nel circolo e il numero di seggi da assegnare nel circolo stesso. Gli eventuali seggi residui sono attribuiti alle liste seguendo la graduatoria decrescente delle parti decimali del quoziente ottenuto da ciascuna lista sino alla attribuzione di tutti i seggi spettanti al circolo. A tal fine le operazioni di calcolo procedono a partire dal circolo con il minor numero di iscritti. Nella assegnazione dei seggi non si prendono più in considerazione le liste che abbiano già ottenuto tutti i seggi ad esse spettanti in base ai calcoli di cui al comma 12. Al termine di tali operazioni, i seggi che eventualmente rimangono ancora da assegnare ad una lista sono attributi alla lista stessa nei circoli ove essa abbia ottenuto i maggiori resti, utilizzando per primi i resti che non abbiano già dato luogo alla attribuzione di seggi. I seggi spettanti a ciascuna lista di circolo vengono assegnati ai candidati in base all’ordine di presentazione nella lista stessa.

Articolo 5
(Modalità di svolgimento delle Convenzioni provinciali)
1. La Convenzione provinciale è costituita dall’insieme dei delegati eletti dalle riunioni di Circolo.
2. In apertura della Convenzione provinciale, su proposta del segretario, viene costituita e messa ai voti per l’approvazione una Presidenza, che ha il compito di assicurare il corretto svolgimento dei lavori, e che veda la presenza di almeno un rappresentante per ciascuna candidatura. Fa parte della Presidenza un membro, o un delegato della Commissione nazionale, che è tenuto ad assistere ai lavori della riunione, con funzioni di garanzia circa il regolare svolgimento dei lavori.
3. In apertura della Convenzione provinciale vengono presentate le linee politiche collegate ai candidati, assicurando a ciascuna di esse pari opportunità di esposizione.
4. Le modalità e i tempi di svolgimento delle Convenzioni provinciali devono garantire la più ampia possibilità di intervento ai delegati, secondo le modalità previste per le riunioni dei circoli.
5. Nel corso dello svolgimento della Convenzione provinciale, ed entro un termine fissato dalla Presidenza, vengono presentate le liste dei delegati alla Convenzione nazionale, collegate alle candidature alla Segreteria nazionale.
6. La convocazione della Convenzione provinciale deve essere spedita a tutti i delegati almeno 3 giorni prima dello svolgimento e deve contenere il giorno e l’orario di inizio della seduta, il programma dei lavori e l’orario di avvio e di chiusura delle votazioni. 7. Il numero dei delegati da eleggere in ciascuna Convenzione provinciale è stabilito preventivamente dalla Commissione nazionale.
8. Il numero dei delegati spettante ad ogni mozione collegata a ciascun candidato Segretario è assegnato proporzionalmente in base al numero dei voti ottenuti nelle riunioni di circolo sulla base del metodo del quoziente naturale (totale dei voti diviso per il numero dei delegati da eleggere) e dei migliori resti. I delegati sono assegnati alle liste sulla base dei consensi ottenuti da ciascuna lista mediante il riparto proporzionale dei quozienti interi e dei più alti resti.
9. La delegazione di ogni mozione deve rispettare, nella sua composizione, il principio dell’alternanza di genere. Possono essere delegati anche iscritti appartenenti ad altre Provincie della Regione o eletti nella Regione. È possibile presentare più liste di delegati collegate allo stesso candidato alla Segreteria nazionale. In questo caso, fermo restando il numero dei delegati assegnati ad ogni mozione e il principio dell’alternanza di genere, questi vengono ripartiti tra le varie liste della stessa mozione sulla base del metodo del quoziente naturale (totale dei voti ottenuti diviso per il numero dei delegati da eleggere) e dei migliori resti. Partecipano al voto per la scelta dei delegati di ciascuna mozione alla convenzione nazionale, i soli delegati alla convenzione provinciale eletti nelle liste collegata alla medesima mozione e al medesimo candidato a Segretario nazionale. I seggi spettanti a ciascuna lista sono assegnati ai candidati secondo l’ordine di presentazione nella stessa lista.

Articolo 6
(Compiti della Commissione nazionale)
1. La Commissione nazionale, nominata ai sensi dell’art. 2 del presente Regolamento, procede, entro il 5 agosto, alla definizione dei delegati spettanti a ciascun Coordinamento provinciale/territoriale, assegnandone il 50% in ragione dei voti ottenuti dal Partito Democratico nelle elezioni del 2008 per la Camera dei Deputati, e il 50% in ragione del numero degli iscritti. Non vengono attribuiti delegati in ragione degli iscritti alle Province/territori i cui iscritti non sono regolarmente certificati.
2. La Commissione nazionale detta altresì i criteri di composizione delle Convenzioni provinciali, sulla base dei quali le Commissioni provinciali procederanno alla indicazione del numero dei delegati da eleggere in ciascuna riunione di Circolo.
3. La Commissione nazionale predispone il modello di verbale sulla base del quale registrare i risultati delle votazioni nelle riunioni di Circolo e nelle Convenzioni provinciali.
4. La Commissione nazionale assicura che un suo membro, o un delegato, partecipino allo svolgimento delle Convenzioni provinciali.
5. La Commissione nazionale promuove l’apertura della seconda fase del procedimento di elezione del Segretario nazionale e dell’Assemblea nazionale. La data di svolgimento dell’elezione del Segretario e dell’Assemblea nazionale, dei Segretari e delle Assemblee regionali è fissata per il giorno 25 ottobre.

Articolo 7
(Composizione della Convenzione nazionale)
1. La Convenzione nazionale è composta da:a)1000 delegati eletti nelle Convenzioni provinciali. Ad ogni Coordinamento provinciale/territoriale è assegnato un minimo di due delegati.b)Dai delegati per funzione: il Segretario nazionale e i candidati alla carica di Segretario nazionale; i componenti della Commissione nazionale, il Presidente della Commissione di garanzia. Alla Convenzione nazionale partecipano, in qualità di invitati, i componenti della Commissione Nazionale di Garanzia.

Articolo 8
(Svolgimento della Convenzione nazionale)
1. In apertura della Convenzione nazionale, su proposta del Segretario, viene costituita e messa ai voti per l’approvazione una Presidenza, che ha il compito di assicurare il corretto svolgimento dei lavori e che veda la presenza di almeno un rappresentante per ciascuna candidatura.
2. In apertura della Convenzione, la Commissione nazionale comunica ufficialmente i risultati delle votazioni svoltesi nelle riunioni di Circolo e, sulla base di quanto stabilito dallo Statuto (art. 9, comma 6), determina il numero dei candidati ammessi alla seconda fase del procedimento di elezione del Segretario nazionale, ovvero “i tre candidati che abbiano ottenuto il consenso del maggior numero di iscritti purché abbiano ottenuto almeno il cinque per cento dei voti validamente espressi e, in ogni caso, quelli che abbiano ottenuto almeno il quindici per cento dei voti validamente espressi e la medesima percentuale in almeno cinque regioni o province autonome”.
3. In apertura della Convenzione nazionale vengono presentate le linee politiche collegate ai candidati, assicurando a ciascuna di esse pari opportunità di esposizione.

Articolo 9
(Dibattito politico e programmatico nel corso della Convenzione Nazionale)
1. Le modalità e i tempi di svolgimento della Convenzione nazionale devono garantire la più ampia possibilità di intervento ai delegati.
2. La Convenzione nazionale istituisce una o più Commissioni tematiche con il compito di elaborare ipotesi di modifica dello Statuto, del Codice etico o del Manifesto dei valori, le quali saranno trasmesse alla Assemblea Nazionale eletta il successivo 25 ottobre.

Articolo 10
(Elezione del Segretario e dell’Assemblea Nazionale)
1. La Commissione nazionale, ai sensi dell’art. 9, comma 7, dello Statuto determina, entro il 5 settembre, la ripartizione territoriale dei componenti l’Assemblea nazionale (fissati nel numero di 1000 dall’art. 4, c.1, dello Statuto), definendo il numero dei seggi spettanti alle diverse circoscrizioni regionali e il numero dei collegi in cui ciascuna di esse è articolata. Tale ripartizione viene effettuata proporzionalmente per il 50% sulla base della popolazione residente e per il restante 50% sulla base dei voti ricevuti dal Partito Democratico nelle elezioni del 2008 per la Camera dei Deputati.
2. Con l’eccezione della Valle d’Aosta e del Molise, le circoscrizioni regionali sono articolate in collegi nei quali sono assegnati da un minimo di quattro ad un massimo di nove seggi. Le province autonome di Trento e Bolzano costituiscono ciascuna una circoscrizione. Nella composizione delle liste deve essere rispettata l’alternanza di genere.
3. La Commissione nazionale determina i confini di ciascun collegio assumendo, di norma, i confini provinciali o i confini dei territori corrispondenti ai coordinamenti territoriali del Partito. La Commissione nazionale, sentita la Commissione provinciale, determina anche i confini di eventuali collegi sub-provinciali, qualora questo sia reso necessario dal numero di seggi spettanti alla relativa provincia.
4. In ciascuna circoscrizione regionale viene istituita una Commissione regionale. Alla Commissione regionale spettano le funzioni di cui ai commi 8, 9 e 10. La Commissione regionale, su proposta del Segretario regionale, viene eletta dalla Direzione Regionale, con la maggioranza dei tre quarti dei votanti, entro il 23 luglio.
5. In ciascun collegio possono essere presentate una o più liste collegate a ciascun candidato alla Segreteria. Sono ammesse le liste presenti in almeno la metà dei collegi di una circoscrizione regionale. Le liste devono essere sottoscritte da almeno 50 iscritti in ciascun collegio.
6. La presentazione delle liste avviene su base regionale, depositando l’elenco dei candidati presso la Commissione regionale, entro le ore 20.00 del 12 ottobre. Ciascuna lista deve indicare a quale, tra i candidati alla Segreteria ammessi, essa intenda collegarsi. Entro due giorni dalla presentazione delle liste, le Commissioni regionali accertano l’accettazione del collegamento da parte del candidato alla segreteria nazionale.
7. Ciascuna commissione regionale, accertati i collegamenti tra candidati alla Segreteria e liste di candidati all’Assemblea nazionale, predispone il modello di scheda per ciascun collegio, sulla base dei criteri indicati dalla Commissione nazionale.
8. Ciascuna commissione provinciale, entro il 21 settembre, determina il numero e l’ubicazione delle sezioni elettorali, sulla base di criteri di omogeneità territoriale e demografica, prevedendo di norma una sezione per ogni Comune ad eccezione dei Comuni superiori ai 30.000 abitanti.
9. I seggi assegnati a ciascun collegio sono ripartiti proporzionalmente tra le liste, secondo il metodo del quoziente naturale (totale dei voti validi del collegio / numero dei seggi del collegio), attribuendo tanti seggi quanti sono i quozienti pieni ottenuti da ciascuna lista. I voti residui non utilizzati vengono conteggiati a livello di circoscrizione regionale, assegnando, con il medesimo metodo, i seggi non ancora attribuiti. Gli ulteriori seggi non attribuiti sulla base di un quoziente pieno, vengono assegnati alle liste che abbiano riportato i migliori resti. I seggi così assegnati vengono poi attribuiti ai collegi che non abbiano ancora visto assegnati tutti i propri seggi spettanti, e alle liste che abbiano conseguito il miglior rapporto tra voti residui e quoziente di collegio.
10.A conclusione delle operazioni di voto in ciascuna sezione elettorale viene redatto un verbale che viene immediatamente trasmesso alla Commissione provinciale, la quale, a sua volta, acquisiti tutti i verbali dei collegi, li trasmette alla Commissione regionale, per le operazioni di calcolo di propria competenza. La commissione regionale, conclusa la procedura di attribuzione di tutti i seggi spettanti, trasmette il verbale dei risultati e i nomi degli eletti alla Commissione nazionale, proclama eletti i membri dell’Assemblea Nazionale e ne da comunicazione alla Commissione nazionale.
11. I membri dell’Assemblea nazionale vengono eletti sulla base dell’ordine di presentazione nella lista.

Articolo 11
(Diritto e modalità di voto)
1. Possono partecipare al voto per l’elezione del Segretario e dell’Assemblea Nazionale, tutte le elettrici e gli elettori che, al momento del voto, rientrano nei requisiti di cui all’art. 2. comma 3, dello Statuto, ovvero le elettrici e gli elettori che sono registrati nell’Albo degli elettori e delle elettrici del Partito Democratico, o che, prima di esprimere il proprio voto, dichiarino e sottoscrivano la richiesta di registrazione.
2. La Commissione nazionale predispone il modello per la registrazione degli elettori. Tale modello prevede, oltre al nome e cognome, i dati anagrafici, la residenza dell’elettore, e un eventuale indirizzo di posta elettronica. Il modello della registrazione contiene altresì l’esplicita autorizzazione dell’elettore all’uso dei suoi recapiti al fine di ricevere informazioni e notizie sull’attività del Partito Democratico.
3. Ogni elettrice ed elettore, per poter esprimere il proprio voto, è tenuta/o a devolvere un contributo di 2 euro destinato direttamente al finanziamento dei circoli e alle spese per l’organizzazione delle elezioni.
4. L’elettrice/elettore esprime il suo voto tracciando un unico segno su una delle liste di candidati all’Assemblea Nazionale.

Articolo 12
(Proclamazione dei risultati e nomina del Segretario)
1. La Commissione nazionale, acquisiti tutti i verbali circoscrizionali, comunica i risultati del voto e convoca la prima riunione dell’Assemblea nazionale entro 14 giorni.
2. L’Assemblea nazionale, sotto la presidenza provvisoria della Commissione nazionale, elegge il proprio Presidente. Le modalità di presentazione delle candidature alla carica di Presidente dell’Assemblea Nazionale e le relative modalità di voto, vengono proposte dalla Commissione nazionale e approvate dall’Assemblea.
3. Il Presidente dell’Assemblea Nazionale proclama eletto alla carica di Segretario il candidato che, sulla base delle comunicazioni della Commissione nazionale, abbia riportato la maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea Nazionale eletti nelle liste a lui collegate.
4. Qualora nessun candidato abbia riportato tale maggioranza assoluta, il Presidente dell’Assemblea nazionale indice, in quella stessa seduta, il ballottaggio a scrutinio segreto tra i due candidati collegati al maggior numero di componenti l’Assemblea e proclama eletto Segretario il candidato che ha ricevuto il maggior numero di voti validamente espressi.

II. LE GARANZIE CONGRESSUALI
Articolo 13

(Anagrafe degli iscritti)
1. La Direzione Nazionale del Partito, all’atto della costituzione della Commissione nazionale, affida alla Commissione stessa la responsabilità di accesso e vigilanza sull’anagrafe degli iscritti e sull’Albo degli elettori.
2. L’anagrafe è redatta dall’ufficio adesioni provinciale e certificata dalla Commissione provinciale di garanzia che la ratifica con il voto della maggioranza dei 2/3 dei componenti. L’anagrafe così certificata viene trasmessa all’ufficio adesioni regionale e nazionale. Qualora la Commissione provinciale di garanzia non approvi, come precedentemente stabilito con il voto della maggioranza dei 2/3 dei componenti l’anagrafe, sarà compito della Commissione regionale di garanzia esaminare ed approvare l’anagrafe provinciale con la stessa maggioranza.
3. L’assegnazione dei delegati alle diverse Convenzioni provinciali è stabilito sulla base dei criteri di cui all’art. 6, comma 1 del presente Regolamento.
4. Le commissioni per l’Anagrafe, ove costituite, e in loro assenza le Commissioni di Garanzia collaborano, fino all’insediamento delle Commissioni nazionale e provinciali, con gli organi dei coordinamenti territoriali e delle Unioni regionali al fine di assicurare la formazione degli elenchi degli iscritti e la loro trasmissione ai livelli regionali e nazionali. Tali elenchi, risultanti dall’Anagrafe, debbono consentire l’identificazione degli aventi diritto al voto.
5. La Commissione nazionale ha il compito di acquisire gli elenchi nominativi degli iscritti.
6. I Circoli hanno l’obbligo di presentare al Coordinamento provinciale/territoriale gli elenchi completi dei propri iscritti. In caso di presunte irregolarità gli iscritti possono presentare – entro 2 giorni dalla pubblicazione degli elenchi - formale reclamo alla Commissione provinciale. La Commissione è tenuta a pronunciarsi entro due giorni. Contro la decisione, o in caso di inerzia, può essere proposto motivato ricorso alla Commissione regionale di Garanzia.
7. La Commissione nazionale di garanzia è incaricata di redigere entro il 21 luglio 2009 il regolamento di cui all’Articolo 42 dello Statuto nazionale del partito ed in particolare di disciplinare le modalità di accesso ai dati contenuti nell’Anagrafe degli iscritti da parte dei dirigenti di ciascun livello territoriale, dei candidati ad elezioni interne e dei candidati del Partito democratico a cariche istituzionali elettive, avendo cura di definire le procedure atte a garantire ai candidati su basi paritarie la possibilità di comunicare con gli iscritti.

Articolo 14
(Le garanzie)
1. La commissione nazionale provvede a disciplinare la diffusione più ampia possibile delle linee politico-programmatiche presentate dai candidati alla carica di Segretario e, allo scopo di garantire pari opportunità tra i candidati, stabilisce gli indirizzi e le modalità per la equa ripartizione delle attività di comunicazione e delle risorse finanziarie.
2. Le commissioni per la Convenzione, ai vari livelli, hanno il compito di garantire che la procedura di elezione del Segretario e dell’Assemblea Nazionale si svolga in modo democratico e che in tutte le iniziative e in tutti i momenti del dibattito sia assicurata piena parità di diritti, nei modi previsti dal regolamento, a tutte le mozioni politiche.
3. Sulla base di quanto previsto dal regolamento di autodisciplina della campagna elettorale per le elezioni del 14 ottobre 2007, la Commissione Nazionale di Garanzia approva, entro il 21 luglio 2009, il regolamento che disciplina i limiti di spesa e la trasparenza relativa ai contributi e alle spese sostenute dai candidati ispirandosi ai principi di sobrietà e correttezza di cui al punto 3, lettera d del Codice Etico.
4. Eventuali contestazioni sulla regolarità del percorso e della gestione delle riunioni di Circolo e delle Convenzioni vanno rivolte alle Commissioni competenti in merito.
5. I ricorsi riguardanti richieste di annullamento, per gravi irregolarità, di Convenzioni provinciali, o di singole decisioni da essi prese, vanno presentati entro 2 giorni dallo svolgimento di tali Convenzioni prima alla Commissione regionale e poi alla Commissione nazionale, che sono chiamate a decidere, in modo insindacabile, entro i 2 giorni successivi.
6. I ricorsi riguardanti le riunioni di Circolo vengono sottoposti, con le stesse modalità, alle Commissioni provinciali e, in seconda istanza, a quelle regionali.

Articolo 15
(Elezione dei Segretari Regionali)
1. Le Direzioni Regionali, ai sensi degli art. 15 e 45 dello Statuto e in coerenza con quanto previsto dal presente regolamento, approvano, entro il 23 luglio 2009, il regolamento regionale che stabilisce la data e le modalità per lo svolgimento della convenzione regionale.
2. Nella stessa seduta eleggono con la maggioranza dei tre quarti dei votanti, una Commissione Regionale, formata al massimo da 11 componenti, successivamente integrata da un rappresentante per ciascuna delle candidature. Alla Commissione partecipa, in qualità di invitato permanente, il Presidente della Commissione di Garanzia o un suo delegato. La Commissione, nella prima seduta, elegge al suo interno il coordinatore.
3. Entro le ore 20.00 del 31 luglio vengono depositate presso la Commissione regionale le candidature alla carica di Segretario regionale e le relative linee politico- programmatiche. Tutte le candidature debbono essere sottoscritte: da almeno il 10% dei componenti l’assemblea regionale uscente oppure da un numero di iscritti pari all’1% degli iscritti certificati nella regione e comunque non meno di 150.

Articolo 16
(Elezione dei Segretari Provinciali e di Circolo)
1. Ai sensi dell’art 15 dello Statuto e dei rispettivi Statuti regionali, le Direzioni Regionali deliberano, entro il 23 luglio, i tempi e le modalità delle elezioni dei Segretari provinciali e di circolo che dovranno comunque svolgersi tra il 15 novembre 2009 e il 17 gennaio 2010 oppure tra il 4 aprile e il 30 maggio 2010. In caso di mancata approvazione del regolamento entro 23 luglio 2009 provvede la Commissione nazionale. In ogni caso gli iscritti che hanno diritto di voto sono quelli regolarmente registrati alla data del 21 luglio 2009.

Articolo 17
(Partecipazione al voto degli italiani all’estero)
1. La commissione nazionale nomina un comitato, composto da sette membri che, secondo i criteri e le modalità stabilite dal presente regolamento, promuove e organizza la partecipazione al voto degli italiani all’estero.

Articolo 18
1. Alla commissione nazionale è demandato il compito di intervenire con appositi indirizzi e norme esplicative del regolamento approvato.

IL PRIMO CONSIGLIO COMUNALE DELL'ERA BENINCASA

FESTA REGIONALE DEI GIOVANI DEMOCRATICI A VIETRI SUL MARE

FESTA REGIONALE DEI GIOVANI DEMOCRATICI A VIETRI SUL MARE
IL PROGRAMMA, VI ASPETTIAMO...

PIERLUIGI BERSANI A SALERNO SABATO 19 SETTEMBRE ALLE ORE 11.00 AL GRAND HOTEL SALERNO

PIERLUIGI BERSANI A SALERNO SABATO 19 SETTEMBRE ALLE ORE 11.00 AL GRAND HOTEL SALERNO
VI ASPETTIAMO NUMEROSI....
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